Per dialetti marsicani si intendono le varietà linguistiche romanze appartenenti al raggruppamento dei dialetti meridionali intermedi e dei dialetti italiani mediani parlati rispettivamente nell'area fucense-rovetana e in quella nordoccidentale della Marsica, in Abruzzo.
Dialetti marsicani | |
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Parlato in | Italia |
Regioni | Abruzzo |
Locutori | |
Totale | 140.000 ca. |
Classifica | non nei primi 100 |
Altre informazioni | |
Tipo | subregionale |
Tassonomia | |
Filogenesi | lingue indoeuropee lingue romanze dialetti italiani mediani/dialetti italiani meridionali dialetti marsicani |
Il sistema dei dialetti meridionali intermedi | |
Manuale |
I dialetti marsicani sono parlati nella subregione più occidentale dell'Abruzzo. I loro confini linguistici corrono a nord tra i territori situati a ridosso del monte Velino e l'altopiano delle Rocche, a sud tra il parco nazionale d'Abruzzo e la valle Roveto, ad ovest tra i territori della piana del Cavaliere e del tagliacozzano e ad est tra i comuni della valle del Giovenco e le località prossime al passo di Forca Caruso[1].
Il continuum italiano-mediano nel territorio della Marsica copre l'area palentino-carseolana, l'area di Tagliacozzo e del suo circondario (Castellafiume, Scurcola Marsicana) e l'alta valle dell'Aniene nel Lazio[2]. Giunge fino alla periferia di Avezzano (San Pelino, Antrosano e Cese[3]); presso Rocca di Mezzo confina con il dialetto aquilano[4].
Il gruppo italiano meridionale è invece diffuso nell'area meridionale della Marsica. È parlato a Celano e ad Avezzano, nell'area fucense, nella valle del Giovenco e nel parco nazionale d'Abruzzo. A settentrione, si estende fino ad alcune località dell'altopiano delle Rocche[4][5].
In queste aree presenta relativamente ad alcune caratteristiche fonetiche una somiglianza con il napoletano a causa degli scambi economici documentati durante il Regno di Napoli[6].
Prima e dopo il prosciugamento del lago Fucino e dopo il terremoto del 1915, che causò notevoli spostamenti di carattere demografico, si è diffuso l'influsso operato dall'italiano regionale romano che successivamente è andato radicandosi anche a causa dell'industrializzazione e delle relazioni di pendolarismo con la Capitale[7][8][9].
I dialetti marsicani, come il resto dei dialetti abruzzesi, si presentano frammentati[10]. Difatti, i dialetti marsicani sono stati inevitabilmente influenzati anche dalle vicende storiche della subregione che già in epoca antica era divisa in due aree: quella a settentrione del lago Fucino, occupata dagli Equicoli e quella a meridione abitata dai Marsi. Entrambe le antiche popolazioni parlavano dialetti appartenenti al gruppo Osco-Umbro. Gli Equi usavano un dialetto osco mentre i Marsi utilizzavano il marso, una varietà dialettale della lingua umbra.
Dopo la guerra sociale, avvenuta tra il 90 e l'88 a.C., cominciò il processo di romanizzazione che favorì la progressiva diffusione del latino, il quale assorbì progressivamente le lingue delle popolazioni italiche.
La dominazione dei Goti e soprattutto quella dei Longobardi, avvenuta in Abruzzo nel VI secolo, ha lasciato numerosi segni nella toponomastica locale. Nella Marsica l'esempio più lampante di germanismo è rappresentato dal nome di Scurcola Marsicana derivante dal termine germanico Skulk (posto di guardia)[11].
Negli anni Venti del XX secolo, nell'ambito della raccolta delle inchieste dialettali per la realizzazione dell'atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera meridionale di Karl Jaberg e Jakob Jud[12], lo studioso svizzero Paul Scheuermeier si recò nell'area mediana marsicana, mentre il ricercatore tedesco Gerhard Rohlfs indagò il versante linguisticamente meridionale della subregione. I due studiosi proposero dei questionari agli abitanti di alcune località della Marsica come Tagliacozzo e Trasacco trascrivendo le risposte e classificando i rispettivi dialetti. Scheuermeier tornò in questi luoghi qualche anno dopo tra il 1930 e il 1935 insieme al pittore elvetico Paul Boesch che realizzò fotografie, schizzi e disegni ritraenti gli attrezzi agricoli legati allo stile di vita delle popolazioni marsicane dell'epoca[13][14].
Nel 1930 lo studioso friulano Ugo Pellis, a cui si deve la nascita dell'Atlante linguistico italiano, si fermò a Paterno, Petrella Liri e Cocullo per registrarne le rispettive parlate[15].
Nel 1977, il linguista veneto Giovan Battista Pellegrini realizzò la Carta dei dialetti d'Italia nella quale la Marsica appare linguisticamente divisa lungo un asse nord-sud-ovest tra i dialetti mediani e quelli meridionali. Due anni dopo, il linguista abruzzese Ernesto Giammarco distinse ugualmente in due gruppi i dialetti dell'area abruzzese occidentale, quelli sabini di tipo mediano e quelli abruzzesi di tipo meridionale. Viene quindi confermato ulteriormente un profilo linguistico della Marsica caratterizzato dalla compresenza di diverse identità linguistiche[12][16].
Gli idiomi nella Marsica possono essere suddivisi in due grandi gruppi dialettali. Nell'area della piana del Fucino e nella parte meridionale della subregione si parlano dialetti meridionali intermedi. Invece, nell'area settentrionale della subregione, tra i territori di San Pelino, Tagliacozzo, Carsoli e fino all'alta valle dell'Aniene[2], oltre il confine tra Abruzzo e Lazio, sono parlati dialetti italiani mediani. Più precisamente, nella Marsica possono essere identificati quattro sottogruppi linguistici omogenei:
I dialetti marsicani sono stati influenzati dalla geografia e dalla storia della subregione. Ciò ha contribuito alla conservazione fino a tempi recenti di alcune peculiarità. Un esempio è costituito dalla differenziazione su base sessuale del dialetto di Pescasseroli[23].
Questo fenomeno colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte) del sistema romanzo comune quando la vocale finale della parola originaria latina è i oppure u. In particolare, ciò avviene per i sostantivi e gli aggettivi maschili singolari (terminazione latina -um) e plurali (terminazione latina -i), rispetto ai corrispondenti femminili singolari e plurali (terminazioni -a, -ae). Nella Marsica esiste la metafonesi di tipo sabino che consiste nel passaggio di é e ó a i e u mentre le vocali aperte è, ò subiscono la chiusura in é e ó.
Buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente alterato, in alcune zone, da una corrente linguistica. Essa ha provocato l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata (sillaba terminante in consonante) e la contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo fenomeno può essere completo, come avviene nella valle Peligna meridionale (Pacentro, Introdacqua, ecc.) o anche soltanto parziale, limitato cioè alla sola chiusura delle toniche aperte in sillaba libera, o viceversa alla sola apertura delle chiuse in sillaba complicata. Le aree della Marsica orientale in cui è presente l'isocronismo parziale sono l'alto Sangro e la valle del Giovenco[24].
Costituisce la caratteristica più vistosa dei dialetti centro-meridionali. Nella Marsica, eccetto il tagliacozzano e la piana del Cavaliere, le vocali atone (non accentate) tendono a confluire nell'unico esito indistinto "ə"[25].
La Marsica è uniformemente interessata dal fenomeno della palatalizzazione. Questo fenomeno consiste nel passaggio dei nessi li, lu, lli, llu a ji, ju, gli, gliu.
Fenomeni generali, comuni all'intera Italia centro-meridionale sono l'assimilazione di lat. volg. MB, ND in mm, nn, come in sammuche "sambuco", mónne "mondo"; la sonorizzazione delle consonanti dopo n, m ed anche di s dopo r, come in fónde "fonte", càmbe "campo", órze "orso", e la resa -r- del nesso latino volgare -RJ-.
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