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Il dialetto triestino[1] (nome nativo dialeto triestin, /triesˈtin/)è il dialetto parlato nella città di Trieste e in buona parte dell'ex-provincia di Trieste, nonché dell'ex-provincia di Gorizia, dove si affianca allo sloveno e al friulano, lingue ampiamente parlate nel Goriziano, oltre che alla lingua italiana. Si tratta di un tipico dialetto veneto coloniale, che inizialmente veniva parlato dai lavoratori veneti emigrati a Trieste come manovalanza durante il periodo della grande ristrutturazione della città, voluta da Maria Teresa d'Austria e che prese gradatamente il posto dell'antico dialetto, il tergestino (affine al friulano).

Voce principale: Lingua veneta.
Triestino
Triestìn
Parlato in Italia
 Slovenia
 Croazia
Regioni Friuli-Venezia Giulia (Provincia di Trieste)
Locutori
Totaletra 200.000 e 300.000
Altre informazioni
TipoSVO flessiva - sillabica
Tassonomia
FilogenesiIndoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italooccidentali
    Romanze occidentali
     Galloiberiche
      Galloromanze
       Galloitaliche
        Lingua veneta
         Veneto coloniale
          Dialetto triestino
Codici di classificazione
ISO 639-2roa (lingue romanze)
Glottologtrie1242 (EN)

Storia


Fino agli inizi dell'800 a Trieste si parlava il tergestino: un dialetto romanzo fortemente correlato col friulano, specialmente con le varietà friulane occidentali[2]; dialetto con il quale il triestino ha convissuto per secoli per poi soppiantarlo[2]. Fin dall'Età moderna Trieste era linguisticamente circondata dall'arcaica enclave veneta dei dialetti bisiaco e gradese a nord-ovest, dalla fascia di dialetti sloveni del Carso, dal ladino muglisano e dall'istroveneto del Capodistriano a sud.

Lo sviluppo della nuova città ebbe come conseguenza l'immigrazione di persone venute dal bacino del Mediterraneo e dall'Impero Asburgico. Una parte consistente di popolazione immigrata proveniva dal Friuli, dal Veneto, dall'Istria e dalla Dalmazia. Fu in questo momento che si affermò il triestino e scomparve il tergestino. Le ipotesi degli studiosi su questo processo di sostituzione linguistica sono varie. Il "veneto comune" nella variante veneziana, nota in tutto l'Adriatico orientale e nel Mediterraneo orientale fino a Cipro, che Venezia utilizzava come lingua "franca", potrebbe essere stato scelto come koinè linguistica tra popoli di etnie diverse, oppure potrebbe essere stato il dialetto dominante degli immigrati.

Il dialetto triestino si differenziò in parte dai dialetti parlati nel territorio corrispondente all'attuale Veneto nei secoli successivi, assimilando - in modo simile all'istroveneto, al veneto fiumano e al veneto dalmata - vocaboli e forme dei popoli di quelle zone o in relazione con quelle zone, in modo particolare slavi e tedeschi. La vitalità del dialetto triestino emerge anche da alcune affermazioni dello scrittore Italo Svevo nel romanzo La coscienza di Zeno:

«Quell'uomo d'affari avrebbe saputa la risposta da darmi non appena intesa la mia domanda. Mi preoccupava tuttavia la quistione se in un'occasione simile avrei dovuto parlare in lingua o in dialetto.»

(capitolo 5)

«Il dottore presta una fede troppo grande anche a quelle mie benedette confessioni che non vuole restituirmi perché le riveda. Dio mio! Egli non studiò che la medicina e perciò ignora che cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto.»

(capitolo 8)

Anche James Joyce durante la sua permanenza a Trieste all'inizio del Novecento imparò a parlare e a scrivere il dialetto triestino. Di ciò sono testimonianza alcune delle sue lettere a Svevo. Attualmente il triestino si è limitatamente ridotto per diffusione, ed è conosciuto da quasi tutte le persone originarie della provincia o ivi residenti da lungo tempo. A questo proposito contribuisce forse la sua relativa somiglianza alla lingua italiana, che negli ultimi decenni si è andata progressivamente intensificando. Nella provincia di Trieste il triestino rimane, in ogni caso, il dialetto di relazione privilegiata, anche fra estranei di differente condizione sociale, e in città è tuttora molto vitale. Esiste un certo numero di opere teatrali, poetiche o letterarie scritte in triestino, molte delle quali sono opera di Virgilio Giotti e Carpinteri & Faraguna. Inoltre si deve ricordare Nereo Zeper, che ha tradotto La Divina Commedia di Dante Alighieri in triestino.


Classificazione


Il triestino è un dialetto venetomorfo, quindi assimilabile alla lingua veneta[non chiaro], ma con proprie peculiarità.[3]


Distribuzione geografica


Il dialetto triestino è parlato nella città di Trieste e in tutta la sua provincia storica. Nei comuni del Carso di lingua slovena è usato come lingua veicolare assieme alla lingua slovena, come pure nelle zone confinarie della Slovenia. Il dialetto veneto usato a Gorizia presenta influenze del veneto dialetto bisiaco e non risulta essere derivato dal dialetto triestino che limita la sua influenza alla Bisiacheria (monfalconese). Lo stesso bisiaco non è rimasto immune dall'influenza del triestino, che lo ha sostituito nei centri urbani, e una penetrazione e contaminazione da parte del triestino si nota pure nell'attuale istroveneto, in particolare in quello parlato nell'area più prossima e connessa alla città.

Vanno infine segnalati i numerosi triestini emigrati all'estero nella seconda metà del '900, presso le cui comunità, in particolare per le generazioni più anziane, si registra un notevole grado di conservazione del dialetto nativo in ambito familiare (con l'interessante peculiarità che il dialetto da loro utilizzato si mantiene ancor oggi nella forma in cui era all'epoca della loro partenza, non avendo essi recepito e partecipato all'evoluzione e alle contaminazioni più recenti).


Fonologia


Dialetto triestino.

Il triestino presenta cinque vocali fonologicamente distintive: [i], [e], [a], [o], [u]. A livello fonetico il grado di apertura delle vocali medie può variare, senza che ciò abbia valore fonologicamente distintivo.

Le consonanti consonanti fonologiche sono:

A livello fonetico vanno aggiunti la nasale velare (che si ha per assimilazione davanti a consonante velare) e la laterale approssimante palatalizzata (che è un allofono della laterale alveolare).

Il triestino non ha consonanti geminate. La grafia “ss” non indica una consonante geminata ma la fricativa alveolare sorda in posizione intervocalica.


Grammatica


La grammatica del triestino è accuratamente descritta in una serie di studi linguistici (vedi bibliografia). Le sue caratteristiche più importanti, in particolar modo in confronto ai dialetti euganei della lingua veneta, sono le seguenti:


Vocabolario


Il lessico del triestino è in maggior parte di origine latina. Tuttavia presenta influenze di altre lingue, soprattutto dello sloveno, del croato e del tedesco. Sono presenti anche parole derivate dal greco moderno a causa della presenza storica di una comunità greca nella città.

Nella tabella seguente si riportano alcuni esempi di parole triestine di varia origine.[4] Viene segnato, ma a titolo solamente indicativo, anche l'accento tonico

Dialetto significato in italiano origine
Armeròn armadio accrescitivo di 'armer' (v.) La parola è utilizzata anche nel dialetto veneziano.
Armèr cassettone dal latino ARMARIU(M), 'cassa dove si tengono le armi'. La parola è utilizzata anche nel dialetto veneziano.
Bagolar andare in giro senza meta
(Un) bic' (Un) pochino utilizzato solo nella locuzione un bic'. Dal ted. Bisschen 'un pochino' (letter. 'un piccolo morso'); meno probab. dall'inglese a bit.
Bìsnis (bìsniz) pateracchio, intrallazzo, anche in senso amoroso plur. bisnìzi. Dall'inglese business, probabilmente risalente al periodo di occupazione alleata alla fine della seconda guerra mondiale
Bòri soldi, denaro Da un antico *"borro" 'oggetto rotondo'.
Brisiòla braciola di maiale, cotoletta dal latino *BRASIATA, cotta sulla brace. Utilizzato anche nel veneto standard.
Carèga sedia da *'catreda', metatesi del latino CATHEDRA. Utilizzato anche nel veneto standard.
Chèba gabbia dal latino CAVEA. Utilizzato anche nel veneto standard.
Chez sciò dar el chez = mandare via, far scappare. O dal tedesco dialettale gehe z(um Teufel), 'va al diavolo!' o dallo sloveno kec (pron. kez) , interiezione per scacciare il gatto, che però potrebbe essere un prestito dal ted. hetzen 'aizzare, istigare'. Più fondata parrebbe la derivazione dal tedesco dialettale meridionale "gehtz!", letteralmente "andate!", ordine assai comune per lo scioglimento dei ranghi tra le truppe austro-ungariche.
Cìsto privo di denaro, in miseria, scadente dallo sloveno o croato čist, 'pulito'
Cocàl gabbiano probabilmente dal greco kaukalìas (uccello non identificato). La parola è comunemente utilizzata anche nel veneto standard.
Còfe stupido, incosciente dal tedesco Kopfweh, 'matto'. Sembra che il termine risalga alla prima guerra mondiale e si riferisca ai soldati scartati alla visita di leva in quanto malati di mente
Flìche soldini, monetine dal ted. Flicken 'rattoppo. cencio', in quanto durante le guerre del Risorgimento l'Austria era solita sostituire le monete metalliche con buoni di carta che si riducevano ben presto a brandelli
Flòsca schiaffo dal tedesco viennese Flazka, 'manrovescio'
Clùca maniglia dal croato e sloveno kljuka, 'maniglia'
Mlecherza - Mlecarza lattaia dallo sloveno "mlekarica", con lo stesso significato. Reliquia dei tempi in cui il latte veniva venduto in città da donne provenienti dal vicino contado massicciamente slovenofono.
Mùlza sanguinaccio, grasso adiposo sui fianchi (maniglie dell'amore) dal dialetto sloveno del Carso mulca (pron. mùlza con la "z" sorda), 'sanguinaccio'
Papùza ciabatta tramite forse il franc. babouche, prestito dall'ar. bābūš, a sua volta tratto dal pers. pāpūš, 'ciò che copre (pūš) il piede (pā)'. La parola è presente anche nel dialetto veneziano (pronunciata con la s, anziché con la z).
Patòc ruscello dallo sloveno potok (patok nel dialetto del Carso), stesso significato
Petès bevanda superalcolica (per lo più di cattiva qualità) da peto, 'flatulenza'
Piròn forchetta dal termine in triestino "impirar", in italiano infilzare con la forchetta
Plafòn soffitto dal francese plafond, stesso significato
Puf debito voce gergale presente in vari dialetti italiani, oltre che in francese e tedesco.
Remitùr caos, confusione molte le proposte sull'origine del termine, che comunque resta oscura.
Ribòn specie di pesce dal lat. RUBRONE(M), pesce dal colore rossastro.
Safèr autista, conducente (anche di mezzi pubblici) dal francese chauffeur.
Scàfa acquaio etimo incerto: dal gr. skáphē 'truogolo, vasca'. Per alcuni, invece, è voce di origine longobarda. La parola è presente anche nel dialetto veneziano.
Scurton ritaglio finale (per lo più di corde, tessuti ecc. ma anche riferito alla parte finale di una bevanda alcolica o di una sigaretta) dal verbo scurtar «accorciare»
Sìna rotaia dal tedesco Schiene, 'rotaia'
Spàrgher cucina a legna dal tedesco Sparherd, 'cucina economica'.
Slaif freno o dal ted. Schleifzeug 'martinicca', oppure, dal ted. schleifen 'tirare a forza indietro, arrotare' e, per estensione, 'frenare'.
Sluc sorso, sorsata dal tedesco Schluck, sorso
Smùzzig sporco, imbrattato dal tedesco "schmutzig", con pronuncia prettamente austriaca e adattato alla fonetica del triestino. Ormai in procinto di scomparire, il termine sopravvive solo nella varietà di alcuni parlanti, soprattutto se provenienti dal circondario slovenofono.
Trapolèr intrallazzatore, truffatore di bassa lega dall'italiano trappola. La parola è presente anche nel veneto standard.
Tàulig - Tàulic abile al servizio militare dal Tedesco "Tauglich", "abile al servizio militare. Era di uso corrente tra le file dell'esercito austro-ungarico per designare coloro ritenuti idonei al servizio. Termine ormai desueto, sopravvive solo nella memoria di alcuni anziani.
Tùmbaro - Tùmbano duro di comprendonio, ignorante dall'alto tedesco medio tumb (ora dumm), 'sciocco'. La parola è presente anche nel dialetto veneziano.
Visavì di fronte dal francese vis-à-vis
Viz spiritosaggine, gioco di parole dal tedesco Witz, stesso significato
Zìma ("z" sonora, come in zoo) freddo intenso, pungente dallo sloveno zima, inverno, freddo (sost.)

Sistema di scrittura


Il triestino si scrive con l'alfabeto latino. La grafia del triestino non è stata standardizzata o fissata normativamente. Le recenti proposte di standardizzazione ortografica delle lingua veneta non sono state recepite per il triestino, per il quale il modello ortografico di riferimento rimane quello dell'italiano. Da quest'ultimo, tuttavia, il triestino si discosta per alcuni aspetti:


Padre Nostro in dialetto


Non esiste una versione ufficiale del Padre Nostro in dialetto triestino. Di seguito si riportano tre versioni in triestino di tale preghiera: le prime due sono quelle tradotte dall'italiano in triestino corrente. La terza è stata sentita e annotata durante la seconda guerra mondiale. Quest'ultima si discosta in più punti dalla versione liturgica cattolica in lingua italiana, come si può notare dalla traduzione italiana riportata di seguito.

Forme correnti
Pare nostro che te son inte i zieli
che sia benedido el tuo nome
che vegni el tuo regno
sia fata la tua volontà
come in ziel cussì in tera
dane ogi el nostro pan de uni zorno
e rimetine i nostri puf'
come noi ghe li rimetemo ai nostri debitori
e no indurne in tentazion
ma liberine de'l mal.
Amen
Pare nostro che te sta in cel,
che sia benedeto el tuo nome,
che vegni el tuo regno,
che sia fata la tua volontà
come in cel cussì in tera;
dane ogi el nostro pan de ogni zorno
e condònine i nostri debiti
come noi ghe li condonemo ai nostri debitori,
e no stà menarne in tentazion
ma lìberine del mal.
Amen
Forma annotata durante la Seconda Guerra Mondiale
Pare nostro che te sta in zel
che fussi benedido el tu nome
che venissi el tu podèr
che fussi fato el tu volèr
come in zel cussì qua zo.
Mandine sempre el toco de pan
e perdònine quel che gavemo falà
come noi ghe perdonemo a chi che ne ga intajà[5].
No sta mostrarne mai nissuna tentazion
e distrìghine de ogni bruto mal.
Amen
Traduzione italiana della forma annotata durante la Seconda Guerra Mondiale
Padre nostro che sei in cielo
sia benedetto il tuo nome
venga il tuo potere
sia fatto il tuo volere
come in cielo così quaggiù.
mandaci sempre il pezzo di pane
e perdonaci quello che abbiamo sbagliato
come noi perdoniamo chi ci ha imbrogliato.
Non mostrarci mai nessuna tentazione
e liberaci da ogni brutto male.
Amen
Forma liturgica cattolica in lingua italiana
Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Amen.

Esempi


Dialogo tratto da: Carpinteri e Faraguna. Noi delle vecchie provincie. Trieste, La Cittadella, 1971.

Àle, àle, siora Nina, che el sol magna le ore!
No per vù, me par, sior Bortolo che sé qua sempre in gamba a contarne una roba e l'altra, tuto de tuti ... anca quel che se gavemo dismentigado ...
Memoria, graziando Idio, no me ga mai mancado. Ma el mal xe che el sol magna le ore e le ore, pian pian, ne magna anca a nualtri!
Ma disème la sinzera verità: quanti ani gavé vù, sior Bortolo?
Indiferente. No conta i ani che se ga fato, conta quei che resta ...

Traduzione italiana

Alé, alé, signora Nina, che il sole mangia le ore!
Non per Voi, mi pare, signor Bortolo che siete qui sempre in gamba a raccontarci una cosa e l'altra, tutto di tutti… anche quello che ci siamo dimenticati…
Di memoria, ringraziando Iddio, non me n'è mai mancata. Ma il male è che il sole mangia le ore e le ore, pian piano, mangiano anche noi!
Ma ditemi la sincera verità: quanti anni avete Voi, signor Bortolo?
Non importa. Non contano gli anni che si sono compiuti, contano quelli che restano…

Note


  1. Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  2. Sabine Heinemann e Luca Melchior, Manuale di linguistica friulana, Walter de Gruyter GmbH & Co KG, 16 giugno 2015, ISBN 9783110310771. URL consultato il 28 gennaio 2016.
  3. Nereo Zeper, A Trieste non c'è nulla di semplice, in Il Piccolo, 17 luglio 2012, p. 30.
  4. Il Nuovo Doria - M. Doria - N. Zeper - Trieste 2012
  5. il verbo "intaiar" è qui palesemente errato (errore di citazione?): in triestino significa "insospettirsi", "subodorare"

Bibliografia



Voci correlate



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Collegamenti esterni


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На других языках


[en] Triestine dialect

The Triestine dialect (Italian: triestino, Triestine: triestin) is a dialect of Venetian spoken in the city of Trieste.
- [it] Dialetto triestino



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