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Il dialetto anconitano (ancunetà)[3], è un idioma parlato nella città di Ancona, e ha la particolarità di essere un idioma comunale, poiché la sua variante più pura è parlata esclusivamente entro i confini della città e - in tempi recenti - nei territori comunali limitrofi; per questo motivo alcuni studiosi preferiscono parlare di vernacolo.[4]

Voci principali: Ancona, Dialetti marchigiani.

dialetto anconitano
Parlato inItalia
Comunità di emigrati anconitani all'estero (Argentina, Belgio, Germania, Canada, USA)
RegioniMarche
Locutori
Totale~150.000
ClassificaNon tra i primi 100
Tassonomia
FilogenesiIndoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-romanze
    Dialetti mediani
     Dialetto anconitano
Statuto ufficiale
Ufficiale in-
Regolato danessuna regolazione ufficiale
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1
Tute le perzóne nascene libere e uguali 'nte la dignità e 'ntei diriti. C'hane la ragió e la cuscènza e ancóra el spirto de penzà l'un al'antro cume fàrtèli.
La cruceta, poeticamente assurta a simbolo del carattere anconitano
La cruceta, poeticamente assurta a simbolo del carattere anconitano

«Se pine in tra dó deti come un fiore;
le bagi come fosse el primo amore,
prima in tel cuderizo un bagio seco,
po' volti e bagi in do' che c'era el beco.

Ciuci e riciuci; lichi scorze e deti;
è un ino de chiopeti e de fischieti
e te viènene su qúi ciciolini
che udorene de mare e de giardini.

[...]

Io guardo 'sta cruceta sbruzolosa
cun 'st'anima gentile; c'ha qualcosa
del caratere nostro anconità;
rozo de fora, duro, un po' vilà
ma drento bono, un zuchero, 'n'amore,...
ché nun conta la scorza, conta el core»

(dalla poesia Cume se magna le crucete in porcheta di Eugenio Gioacchini (Ceriago))

[1][2]


Origine


Nel sistema dei dialetti centrali il dialetto anconitano fa parte della zona 1-a (marchigiano centrale, anconitano)
Nel sistema dei dialetti centrali il dialetto anconitano fa parte della zona 1-a (marchigiano centrale, anconitano)

Secondo la tradizione il vernacolo[4] anconitano sarebbe nato nel Rione Porto, in una piccola piazza ora non più esistente detta la Chioga, nella quale si erano fuse tre parlate: quella locale dei purtulòti (portolotti), lavoratori portuali, quella dei marinai levantini (provenienti dall'Oriente) stabilitisi in città e quella dei Buranèli, ovvero le famiglie originarie di Burano e della laguna veneta, trasferitesi ad Ancona in cerca di fortuna e dedite alla pesca e alla navigazione come attività e sussistenza[5][6][7][8]. In particolare il professor Giovanni Crocioni ebbe modo di sottolineare quanto riferitogli dal poeta vernacolare Duilio Scandali, ossia che nel porto, almeno fino all'inizio del '900, varie famiglie parlassero ancora il buranese, un dialetto semi-veneto.[9]

Nel corso del tempo ha assunto sempre maggiori peculiarità, continuando ad assorbire e rielaborare influssi dovuti agli scambi del porto, determinando così la penetrazione di vocaboli di origine greca, ma anche spagnola e francese. Si può inoltre notare che molte parole anconetane in senso stretto non appartengono al repertorio etrusco-gallico né osco-sannitico, ma sono calchi di modelli medioevali, quando Ancona poteva permettersi anche l'autonomia linguistica. Si è così sviluppata una quasi totale estraneità di Ancona di fronte ai mutamenti linguistici, come fosse un'"isola" nel "continente" marchigiano nonché centro-italico: tuttavia molte parole sono ormai scomparse per lo scarso utilizzo e per l'allontanamento dalla fonte originaria.

In aggiunta a ciò, Scandali e Crocioni ebbero modo di riscontrare anche la presenza, fino a quell'epoca, di un vero e proprio gergo giudaico-anconetano, quasi inintelligibile e poco documentato, e che risultava essere formato da radici ebraiche congiunte a desinenze dialettali[10][11][12].

Ancora, è da segnalare che nel Quartiere degli "Archi" (Rió de j'Archi), relativamente vicino al porto, si registrò un massiccio afflusso di pescatori-armatori originari di Porto Civitanova (Civitanova Marche), i quali emigrarono a più riprese ad Ancona a partire dalla seconda metà degli anni Venti del XX secolo: infatti il porto del capoluogo marchigiano, date le maggiori dimensioni rispetto agli altri scali marittimi della regione, si rivelò di vitale importanza per il loro lavoro sulle barche a vela di quell'epoca. Più precisamente, la struttura del Porto Peschereccio del "Mandracchio" - nome che in tutte le città di mare contraddistingue l'area adibita al ricovero delle barche - venne costruita al Molo Sud partire dal 1920, e ciò comportò dunque lo spostamento definitivo ad Ancona di un buon numero di pescatori e delle loro imbarcazioni a vela, provenienti soprattutto da Porto Civitanova e, per una parte meno consistente, anche da Porto Recanati; bisogna comunque ricordare che essi frequentavano già da vari anni il Porto di Ancona specie durante la stagione invernale, in quanto riparato e protetto nei casi di improvvise burrasche.[13] Nel corso degli anni costoro aggiunsero, all'attività più propriamente ittica, quelle consuete dello scalo dorico, ossia scambi mercantili e produzione cantieristica: le loro barche trovarono perciò sistemazione al "Mandracchio", mentre le famiglie, che successivamente li raggiunsero, andarono ad abitare appunto agli Archi. Ciò ha fatto sì che fino a non molti anni fa alcuni tra i più anziani residenti in quel quartiere parlassero ancora il dialetto civitanovese, appartenente alla famiglia dialettale maceratese-fermana-camerte (marchigiano centro-meridionale), sia pure inframmezzandolo con vocaboli tipicamente dorici, mutuati per via dei numerosi contatti (lavorativi e non) con gli indigeni. In sostanza, pur non avendo il civitanovese influenzato linguisticamente l'anconitano, ebbe modo di crearsi una sorta di piccola "città dentro la città", proprio per via del forte attaccamento che costoro mantennero nei confronti non solo del dialetto natio ma anche dei costumi e delle usanze marinare e culinarie civitanovesi. I loro attuali discendenti hanno invece abbandonato definitivamente la parlata paterna e sono pertanto del tutto anconetanizzati.[14]


Caratteristiche, classificazione e studi in merito


L'anconetano viene quasi unanimemente considerato l'idioma più settentrionale del gruppo umbro-laziale-marchigiano (secondo la linea Roma-Perugia-Ancona), poiché a nord-ovest, già a Montemarciano (distante solo 20 km) gli influssi del gallo-italico predominano su quelli centrali, e gli elementi gallo-italici si ritrovano nelle frazioni della campagna anconetana ed in comuni limitrofi, quali Camerano.[15][16]. Ad ovest, poi, già da Jesi (30 km) i dialetti sono più tipicamente centrali, mentre a sud già l'osimano (20 km) e le parlate limitrofe assumono alcune componenti maceratesi-picene[15], le quali costituiscono retaggio dei secoli di amministrazione maceratese su Osimo, Loreto e Castelfidardo.

Il dialetto di Ancona, specie nel passato, poteva essere considerato un vernacolo, vista la limitata zona di suo utilizzo: infatti la parlata anconetana "pura" era circoscritta praticamente alla sola città e solo negli ultimi decenni si è estesa anche alle contigue Falconara, Sirolo, Numana, un tempo centri linguisticamente gallo-italici e ora completamente anconetanizzati. Un'anconetanizzazione parziale la si può riscontrare anche nei vernacoli dei centri rurali immediatamente limitrofi, come Agugliano, Polverigi e Offagna, ove si risente dell'osimano, nonché Camerata Picena, in cui si mescola con lo jesino, mentre vi sono diversità un po' più accentuate a Chiaravalle e Monte San Vito. C'è anche da dire che a ben vedere al giorno d'oggi gli influssi dell'anconetano hanno modo di manifestarsi in aree assai più estese, specie lungo la costa (in direzione nord e sud) e nella valle del fiume Esino: accade cioè che gli abitanti di centri quali Senigallia, Jesi, Osimo, Porto Recanati e perfino Civitanova Marche, tanto per citare solo i più importanti, assumano sempre più spesso - a causa dei numerosi contatti col capoluogo (lavorativi e non) - la tendenza ad anconetanizzare, cioè ad utilizzare accento e vocaboli tipici della parlata dorica, considerata una varietà dialettale di maggior prestigio. Negli ultimi anni, anche Marina di Montemarciano e Montemarciano, hanno assunto la parlata anconitana. Ciò non è tuttavia sufficiente per poter definire Ancona la "capitale linguistica" delle Marche; anche perché l'influenza dell'anconitano sulle parlate dei centri del circondario si manifesta attraverso l'adozione di tratti ed espressioni spesso abbondantemente italianizzati e quindi privi delle caratteristiche più schiette dell'originario idioma del capoluogo.

Nel vernacolo anconitano convivono elementi dei due macro-gruppi italiani: infatti malgrado la già citata appartenenza al gruppo dialettale umbro-laziale-marchigiano, non è difficile accorgersi, accanto agli elementi mediani, anche di elementi gallo-italici, nonché di alcuni fenomeni linguistici tipici anche dei dialetti veneti, il che porta un cospicuo numero di studiosi a considerare l'anconitano come parlata di "transizione" con i dialetti gallo-italici. Addirittura, secondo il già citato Giovanni Crocioni, il dialetto anconetano è da considerare come il più meridionale dei dialetti gallo-italici, che da Fano verso sud perdono progressivamente le loro caratteristiche gallo-italiche per esaurirsi solo dopo Camerano ed Osimo, divenendo poi parlate picene.[17][18]

Nella prefazione alla 1ª edizione del volume La bichieròla di Duilio Scandali, del 1906, Crocioni osserva: “Chi nel passato ha rivolto alla lesta uno sguardo al dialetto di Ancona, badando a qualche saggiuolo infedele, sparso qua e là nelle stampe, se n'è ritratto come sgomentito, per quell'accento spiccato di schietta italianità, che lo fa parere un vernacolo propagginatosi da quelli toscani. Eppure l'anconitano, chi bene lo indaghi, mostra cospicui caratteri, sconosciuti ai toscani, che lo accomunano a ben altra famiglia... Esso vanta un vocabolario dovizioso e un frasario multiforme, un po' cosmopolita, flessibile, pronto all'esigenze di un'arte che lo chiami a cimenti difficili.” Il Crocioni prosegue evidenziando come ad Ancona si verifica la confluenza, insieme al galloitalico, anche dei dialetti della -u finale, che attraversano l'Italia dal Tirreno all'Adriatico, e "che più di una loro proprietà immettono nell'anconetano, nel quale si vengono pertanto ad incontrare, come i raggi nell'asse di una ruota, i prolungamenti dei dialetti gallici, di quelli dalla -u finale, e dei toscani, che irraggiano su tutti i dialetti dell'Italia centrale un filo della loro luce."

Nella raccolta ottocentesca de "I parlari italiani in Certaldo", il professor Cesare Rosa, che raccolse la versione in anconetano della novella di Boccaccio "La dama di Guascogna e il re di Cipro", non manifestò particolare considerazione in ordine all'esistenza ad Ancona di un vero e proprio "dialetto" inteso nel senso letterale del termine: egli ebbe infatti modo di osservare che "un dialetto anconetano non esiste; il linguaggio che qui si presenta, non è che una corruzione dell'italiano quale in Ancona si suol fare dal popolo minuto soltanto". Contrapposto a quello del professor Rosa è il parere di autori e studiosi vernacolari quali Duilio Scandali[19], Palermo Giangiacomi[20] e Mario Panzini[21], che evidenziano l'inverosimiglianza della possibilità di una corruzione popolare della lingua nazionale.

È interessante infine la presenza di un'isola linguistica comprendente le frazioni anconitane del Cònero (Poggio, Massignano e Varano) e, fuori dai confini comunali, Camerano. Come si vedrà più avanti, i dialetti di questi centri non sono varianti del vernacolo anconitano, ma costituiscono un nucleo gallico circondato da dialetti centrali, e potrebbe anche trattarsi degli ultimi residui di un’area gallo-italica che un tempo doveva essere molto più ampia al punto da ricomprendere persino la stessa Ancona, ma non ci sono certezze in merito[22]. La presenza del gallo-italico nelle frazioni di Ancona era un fenomeno molto più netto fino a quaranta anni fa, ma anche oggi è rilevante.[23] Da segnalare però come a livello lessicale e sintattico ci sia una frequente mutua intelligibilità tra il vernacolo anconitano e le parlate gallo-italiche delle campagne limitrofe.

Relativamente a una possibile antica appartenenza dello stesso dialetto anconetano alla famiglia gallo-italica, alcuni studiosi contemporanei, quali il prof. Sanzio Balducci, hanno ipotizzato che ciò fosse verosimile e che successivamente si fosse impiantata, sulla antica base settentrionale, una parlata di impronta mediana[22]. Ciò potrebbe essere legato a un possibile orientamento da parte del ceto mercantile a prediligere modelli linguistici fiorentini e mediani, probabilmente reputati più prestigiosi[24]. Un vago indizio in merito proviene da quanto scritto dal cronista del XVI secolo Bartolomeo Alfeo, qualche decennio dopo l'annessione di Ancona allo Stato Pontificio: a seguito del nuovo governo, in città si sarebbe registrato un arrivo cospicuo di nuclei familiari di provenienza specialmente maceratese e toscana, e ciò avrebbe avuto notevoli ripercussioni sulla parlata locale; viene infatti evidenziato come a partire da allora negli annunci pubblici "fu alterato il parlare e la pronuncia cangiata"[25]. È stata pertanto ventilata l'ipotesi che un tempo il gallo-italico si estendesse in modo compatto e senza interruzioni da Senigallia fino al Cònero, comprendendo pertanto Ancona, e che successivamente tale "continuum" si fosse interrotto proprio nel centro urbano di Ancona per via dei fenomeni migratori prima accennati.

Non bisogna tuttavia dimenticare che, in virtù dell'esistenza della Repubblica marinara di Ancona, Venezia ha esercitato per secoli un'influenza notevole sulla città dorica, anche sotto il profilo linguistico: si potrebbe pertanto ipotizzare che l'antico anconetano fosse una sorta di dialetto gallo-italico fortemente "venetizzato".


Elementi gallo-italici e somiglianze con i dialetti veneti


Nell'anconitano sono presenti i seguenti elementi gallo-italici:

Opuscoli informativi sulla raccolta differenziate in cui viene usato il dialetto anconitano. Hai da rompe = devi rompere; ciaca = acciacca; semo a disposizió = siamo a disposizione; duvrìa esse = dovrebbe essere; ntel = nel
Opuscoli informativi sulla raccolta differenziate in cui viene usato il dialetto anconitano. Hai da rompe = devi rompere; ciaca = acciacca; semo a disposizió = siamo a disposizione; duvrìa esse = dovrebbe essere; ntel = nel

Elementi centrali e meridionali


Nell'anconitano sono presenti anche i seguenti elementi, tipici anche di altri dialetti centrali e dei dialetti meridionali; per ragioni di chiarezza si può operare una distinzione ulteriore tra elementi perimeridiani e mediani marchigiani in senso stretto.

Le caratteristiche dei primi, che si sviluppano lungo la già citata isoglossa Roma-Perugia-Ancona, sono dovute all'influsso toscano, e li isolano parzialmente dai dialetti mediani veri e propri, e tra le più rilevanti vanno segnalate:

Relativamente ai secondi elementi, si tratta di fenomeni linguistici presenti di fatto quasi esclusivamente delle Marche centro-meridionali, e che pertanto consentirebbero, seppur in maniera assai approssimativa, di individuare un "dialetto marchigiano" come distinto dagli altri dell'Italia centrale. Molti di questi fenomeni fanno la loro comparsa proprio a partire da Ancona procedendo verso sud, come:


Altre caratteristiche


Ritornando alle caratteristiche dell'anconetano cittadino, interessante è l'ipercorrettismo delle forme quanto per "quando", e sparambià per "sparagnare", che potrebbero far pensare, come già esposto in precedenza, che un tempo potesse essere presente almeno in parte pure ad Ancona la trasformazione centro-meridionale di NT in ND, di ND in NN e di MB in GN, e che la sua scomparsa abbia attratto con sé pure termini che hanno tale forma pure nella lingua italiana: perciò si potrebbe ipotizzare che un tempo pure ad Ancona si dicesse quanno e poi per un eccesso di ipercorrettismo sia passato non a "quando", perché erroneamente creduta anch'essa una forma meridionale, ma appunto a "quanto". In ogni caso anche a Senigallia la resa è analoga: quant con caduta della "o" finale; la stessa resa compare comunque a Pesaro[41] e in alcune varianti romagnole[42], il che può suggerire una spiegazione alternativa all'ipotesi dell'ipercorrettismo appena descritta.

Anche i verbi e i sostantivi introdotti nell'uso solo recentemente vengono regolarmente troncati[43] (termosifó = termosifone, e' scuteró = "lo scooterone", da scooter, sgarbonà = fare effusioni con il/la proprio/a ragazzo/a, inciciasse = ingrassarsi, digità = digitare);

Pressoché limitata ad Ancona, ed estranea perciò al resto dei dialetti centrali, è la seconda persona singolare dell'imperativo della IIª coniugazione (e del verbo essere) coincidenti con la terza persona singolare del presente indicativo e con l'infinito (vago a véde la partita = vado a vedere la partita, ma: lu véde = lui vede, e véde de comportàtte bè = vedi di comportarti bene; nun za né lège né scrive = non sa né leggere né scrivere, ma: lu lège, e prima lège ntel libro, po' scrive quelo ch'î capito = prima leggi nel libro, poi scrivi quello che hai capito; èsse bono: dame 'na mà! = sii buono, dammi una mano!, ma: prò, dumà, nun c'ha da esse nisciun prublema = però, domani, non ci deve essere nessun problema);

Opuscolo informativo sulla raccolta differenziate in cui viene usato il dialetto anconitano. Il termine pi(z)zardó (vigile urbano) è simile a quello usato in romanesco (pizzardone)
Opuscolo informativo sulla raccolta differenziate in cui viene usato il dialetto anconitano. Il termine pi(z)zardó (vigile urbano) è simile a quello usato in romanesco (pizzardone)

Molto caratteristica è il grande uso dell'antifrasi nel parlare comune: un esempio lampante è l'usatissima locuzione un bel po' (= molto), che ha finito col diffondersi in un'area costiera molto vasta che va all'incirca da Fano a Civitanova Marche; tale forma convive con la meno usata, ma di analogo significato, 'na mùchia, adoperata anche in altre aree marchigiane e abruzzesi. Ad esse si aggiungono anche frasi del tipo hai fato gnènte ride (= hai fatto ridere molto), o anzi che ciavevi pòga fame! (= avevi davvero molta fame). Espressione tipicamente marchigiana (ma anche umbra ed abruzzese settentrionale-teramana) in uso anche ad Ancona è gustà, dà gusto per indicare un qualcosa di particolarmente apprezzato da una persona (j gusta/dà gusto a sentì discóre in ancunetà).

La cadenza anconetana nel parlare italiano risente non tanto di elementi marchigiani "tipici" ma piuttosto di influssi gallo-romagnoli e toscani, al punto che spesso viene scambiata per "settentrionale" da chi proviene dal sud e per "toscana" specialmente dai romani.

Invece il registro linguistico viene spesso scambiato per quello di una parlata umbro-laziale: infatti anche la parlata di Ancona è sempre contornata dall'intercalare utilizzatissimo ó!, che si usa per richiamare l'attenzione verso di sé prima di parlare (es: ó!, je la famu a rivà' in urario al'apuntamèntu?; ó!, va bè, ce sentimo dòpu!); in comune soprattutto con il romanesco vi sono alcune espressioni con tono di insulto (e va' a murì 'mazzatu!). Non ultima è da segnalare anche la presenza di alcuni vocaboli e modi di dire tipici dell'area romana, che comunque di solito non suonano esattamente uguali a quelli in uso nell'area capitolina: pi(z)zardó per vigile urbano (a Roma pizzardone), termine che convive con il sinonimo béco per via del copricapo a feluca con due punte adottato fino all'inizio del Novecento, andà de prescia per andare di fretta, che convive con l'espressione analoga andà de fuga. Inoltre soprattutto nelle ultimissime generazioni sarebbe da rilevare una certa pacifica penetrazione di elementi dialettali "capitolini" (per influsso del cosiddetto "romanesco televisivo"): perciò spesso si sentono giovani utilizzare aó! e monnézza in luogo dei più tradizionali ó! e mundé(z)za.

Tipico di Ancona, come del resto di molti altri posti dell'Italia centrale, è l'uso di aggiungere la -e finale nei vocaboli terminanti in consonante, specie se anglosassoni: stòpe per stop, scùpe per scoop, Juventuse per Juventus, Intere per Inter, e via discorrendo, senza poi dimenticare che spesso se la parola non è accentata sull'ultima, la consonante di questa può cadere (Inte per Inter, compiùte per computer; camio per camion, nailo per nylon, che nella parlata delle vecchie generazioni fanno regolarmente il plurale in cami e naili).

Negli avverbi terminanti in -mente, è bene specificare che la e aperta è spesso pronunciata in modo allungato e calzato, quasi come se ci fossero due "e" di cui la prima un po' più chiusa, e ciò soprattutto nei casi in cui l'avverbio è usato in funzione interrogativa. Ad esempio se si usa l'avverbio veraménte a mo' di domanda, si sentirà chiedere: veraméènte?.

Infine si possono passare in rassegna elementi oramai estinti: oltre alla già citata metatesi, sono scomparse forme come per ô "per uno" (o al porto peròmo, alla veneziana), ghiétru, ghiéce per "dietro", "dieci" (ma lindiéra per "ringhiera"), bia o bigna come abbreviazione di "bisogna", lala e lónda per "ala" e "onda", scole alimentari per "elementari", ecc.


Le parlate dei quartieri e delle frazioni


È rilevante notare che le parlate del contado iniziano già dalle aree periferiche della città. È infatti possibile cogliere, all'interno degli stessi confini comunali, alcune sfumature linguistiche differenti tra l'area del Porto e di Torrette a nord-ovest, di Posatora ad ovest, delle Grazie e delle Tavernelle a sud[26].

È possibile, a maggior ragione, cogliere differenze anche tra la parlata cittadina e i dialetti usati nelle frazioni più distaccate dal capoluogo, come Paterno, Sappanico, Montesicuro, Gallignano a nord-ovest e il Trave a sud-est, Candia, la zona della Baraccola e l'Aspio a sud, dove, almeno fino agli anni settanta del Novecento, le persone più anziane parlavano un idioma che dagli anconitani di città veniva considerato del tutto alieno dal loro contesto linguistico: si tratta infatti di parlate chiaramente ascrivibili al gruppo gallo-italico[44], a causa della caduta della vocale finale -o, mentre il dialetto di Ancona conserva ottimamente l'esito delle -o, -u latine, alla stregua parlate italiane mediane e centrali, che di tale fatto linguistico fanno un importante tratto di distinzione.

Le ormai estinte parlate contadine, invece, tendevano a lenire o ad eliminare la -o finale (andàm per "andiamo", da qui il detto-scioglilingua cameranense Dì ndu ndam?? No' ndam sul Guast dove il Guast era un toponimo tipico per indicare il Duomo [Dòm] di Camerano). Era poi possibile riscontrare forme assai curiose, come ad es. quanne per "quando", in cui comparivano contemporaneamente sia un elemento di tipo gallico, cioè l'indebolimento della vocale finale, sia uno di tipo centromeridionale, ossia il passaggio da ND a NN, sconosciuto nel capoluogo ma vitale nei centri immediatamente più a sud, come Osimo; altra forma interessante era babbete, sempre con la caduta delle vocali nonché con il suffisso personale posposto al nome, di uso tipicamente centromeridionale, in luogo dell'anconitano tu' padre. È inoltre interessante notare come gli scrittori di teatro anconetani cittadini, nel riprodurre graficamente (e nel parodiare) la nasale velare (ŋ) della zona del Cònero e di altri contadi prossimi alla città, scrivessero le mang per "le mani", è fing per "è fino", suddisfaziong per "soddisfazione".

Degni di nota alcuni termini presenti nelle varianti linguistiche rurali ma assenti nell'anconetano cittadino: invèlle / invèll' per "in nessuno luogo", lècca per "femmina del maiale" o "donna di malaffare", luccà per "urlare" (in città è utilizzato sgagià), chitta e litta per "qui" e "lì", puscióngh / puscióŋ / pusció per "possessione agricola", per "andare".

Da menzionare infine nelle parlate delle frazioni campagnole di Ancona, l'utilizzo della preposizione sa (e relative forme articolate sal, sai) per dire "con"[45], utilizzata in una zona che va dal riminese passando per la provincia di Pesaro-Urbino fino a lambire la provincia di Ancona assottigliandosi in un fazzoletto di terra che comprende - oltre alle aree di Senigallia, Montemarciano, Falconara e del Cònero - anche territori linguisticamente non gallo-italici come Agugliano, Castelfidardo e il contado osimano.

Considerando che il dialetto di Jesi è chiaramente appartenente al gruppo centrale, la causa di questa "anomalia" delle suddette parlate della campagna anconitana, ma anche di alcuni centri limitrofi, come Camerano, è forse attribuibile ad una qualche penetrazione gallo-italica dovuta ad insediamenti di Galli Senoni, su un precedente sostrato italico, che ha portato alla creazione di una interessante isola linguistica, per fortuna in alcuni casi documentata. Anche il Crocioni ebbe modo di riscontrare questa realtà, evidenziando che per "dialetto anconetano" si deve intendere solo quello cittadino, perché nella campagna, specie a Varano e Camerano, "risalendo verso Osimo, il gallicismo appare così evidente, che ogni parola sarebbe superflua".

Come si è accennato in precedenza, secondo l'opinione di alcuni studiosi contemporanei, si potrebbe invece propendere per l'ipotesi contraria, ossia per un dialetto gallo-italico esteso ininterrottamente da Senigallia a tutto il Cònero - e quindi un tempo in uso pure ad Ancona - e che poi si sarebbe spostato su modelli mediani e toscani (con influssi veneti) nel centro urbano di Ancona: potrebbe costituire prova di ciò il fatto che fino agli anni '50 del '900 le parlate gallo-italiche si estendessero subito oltre le mura cittadine, ritraendosi poi progressivamente verso le aree più isolate dal centro urbano; a tal proposito, nel Vocabolarietto anconitano-italiano di Luigi Spotti (1929) viene notato come la parlata contadinesca arrivi a lambire, all'epoca, l'interno della città allargata dalla cinta daziaria (quindi presso un'area che va dalla stazione ferroviaria al Piano San Lazzaro)[46].

Pertanto, l'influenza sempre più dominante dell'anconitano cittadino ha progressivamente alterato questo schema, che è ormai appena intuibile nelle frazioni di Candia, Varano, e un po' più vistoso nelle frazioni più conservative, come Massignano e del Poggio, che formano un nucleo dialettale gallo-italico che è ancora vivo. Tuttavia le generazioni più recenti di tali località ripristinano nettamente la vocale finale, e il loro parlare non si discosta quasi per nulla dall'anconitano standard, che come koinè ha ormai influenzato anche molte altre parlate vicine.


Influssi su altri dialetti


Come accennato in precedenza, Ancona non è mai stata, storicamente, la "capitale linguistica" delle Marche, né la si potrebbe considerare tuttora (come invece è accaduto in altre regioni fin dai tempi più antichi, come nel caso di Firenze per la Toscana o di Napoli per la Campania, o come si è verificato nel corso di quest'ultimo secolo a Roma per il Lazio): è innegabile però che, nel corso soprattutto dei decenni finali del XX secolo, l'anconetano ha progressivamente influenzato le parlate marchigiane limitrofe, specie lungo la costa (in direzione nord e sud) e nella valle dell'Esino.

Come dimostrazione dell'influsso sempre più predominante dell'anconetano cittadino verso nord, basterebbe ricordare come a Montemarciano si vadano diffondendo le forme apocopate e contro le precedenti nasalizzate mañ e pañ; inoltre verso nord sembra via via estendersi anche la sonorizzazione di -ns-, -ls- e -rs-, come testimoniato dalla forma senigalliese moderna el polz, contro la pronuncia precedente el pols.

Verso sud la pressione dell'anconetano si è manifestata, negli ultimi decenni, nell'area costiera e nell'immediato entroterra della provincia di Macerata, ossia in centri quali Porto Recanati, Recanati, Montelupone, Potenza Picena e Civitanova Marche: infatti in tutti questi centri si è registrata da secoli la scomparsa della distinzione tra -o e -u, in favore dell'unico esito in -o.

In particolare, nel dettaglio:

- Porto Recanati ha accolto nel corso dei secoli elementi anconetani molto cospicui, come l'utilizzo dell'articolo el, la mancanza della metafonia e soprattutto l'indistinzione delle o/u finali latine, che non si sono solo limitate a convogliarsi nell'unico esito -o, ma a loro volta hanno anche finito col passare tutte ad -u, o comunque ad una -o pronunciata in modo cupo: per queste ed altre ragioni, il suo dialetto merita di essere ascritto a pieno titolo nella famiglia anconetana, per la precisione nella sub area osimano-lauretana;

- a Recanati le "innovazioni" di origine anconetana si riassumono anche qui nell'indistinzione -o -u, nella mancanza di metafonia, negli esiti dei latini j, dj, gi, gj, gl uguali a quelli di Ancona, mentre altre caratteristiche maceratesi resistono maggiormente: infatti, anche se il passaggio MB>MM non è sistematico, e quello LD>LL è quasi scomparso, gli articoli in uso sono ancora oggi oscillanti tra u, ru, lu, a ra, la, come nelle aree interne del maceratese, per cui il recanatese è da considerare una parlata intermedia (o "zona grigia") tra anconetano e maceratese, difficile da inquadrare con precisione nell'una o nell'altra famiglia;

- a Potenza Picena e Civitanova il dialetto è molto più simile al maceratese, e l'appartenenza a tale famiglia è indubbia, ma già da secoli risulta assente la distinzione tra -o e -u finali, e recentemente si registra il progressivo regresso della metafonia nelle vocali medio-alte (ad es. lo frichétto anziché lu frichittu), nonché la penetrazione di vocaboli anconetani in sostituzione degli originali maceratesi, quali smorcià invece di stutà per "spegnere", e testa in luogo di coccia;

- infine anche a Montelupone, ma anche a Morrovalle e Montecosaro, gli abitanti sono coscienti che non si usa più la -u finale, in contrasto con la situazione cittadina di Macerata.


Particolarità


Tipicamente anconetana è l'espressione pà cu l'ojo (pane con l'olio), che viene talvolta usata come sinonimo di "abitante di Ancona", e che testimonia la notevole predilezione per questo piatto semplice e povero da parte degli anconetani. Inoltre del tutto tipico di Ancona e zone limitrofe, precisamente fino a Porto Recanati, è l'uso dell'avverbio ancora per "anche"/"pure" (è venuto ancora lù per "è venuto pure lui").

Ad Ancona, come del resto in altre località dell'Italia mediana, è assente una netta percezione dei confini tra dialetto e lingua italiana: pertanto, come anche nell'umbro e nel romanesco, non di rado capita di ascoltare anconitani anche di elevata istruzione ed estrazione sociale esprimersi utilizzando forme quali me piace invece di "mi piace", je (j) va invece di "gli va", ecc.

Divertente è poi il fatto che gli anconitani, quando parlano con persone di altre città, a volte usano inconsapevolmente termini dialettali italianizzati, ma in realtà incomprensibili, suscitando lo stupore di chi li ascolta. Valgano come esempio: sfrondone (in dialetto sfrundó) = errore grossolano nel parlare, o anche bestemmia; sgolfanato (in dialetto sgulfanato) = senza fondo nel mangiare, in uso anche in area pesarese-urbinate; sfrigiare (in dialetto sfrigià) = rigare una superficie lucida, capiscione (in dialetto capisció) = saccente (come in romanesco), sbregare (in dialetto sbregà) = rompere per rabbia o per disattenzione (come in veneto, ma sbrego è usato anche in aree marchigiane centro-meridionali), panni spasi = panni stesi, in quanto in Italiano il participio del verbo spandere è considerato voce desueta), scapecciare (in dialetto scapecià) = spettinare, crinare (in dialetto crinà) = fessurare, fiarare (in dialetto fiarà) = bruciare, ciaffo[47] (ciafu in dialetto), = oggetto inutile, con i derivati inciaffare (inciaffà) = riempire di ciaffi e ciaffone (ciafó) = persona che accumula ciaffi o, al femminile, che si veste male. Addirittura la vicina spiaggia di Portonovo viene a volte chiamata dalle signore di una certa età Portonuovo, come a volerle attribuire più eleganza.

Infine è del tutto esilarante quando, trovandosi in altre città, un anconitano usa parole sì italiane, ma con significati sconosciuti al di fuori di Ancona. Si possono fare i seguenti esempi: "per colazione mi sono mangiato una polaca", cioè un cornetto; "Ho comprato una finlandese", cioè una tuta da ginnastica, "per cena mi sono mangiato una svizzera", cioè un hamburger.

D'altra parte questa inclinazione a non percepire netti confini tra dialetto e lingua italiana, associata alla (scorretta) considerazione del vernacolo quale corruzione popolare della lingua nazionale, è probabilmente all'origine della forte italianizzazione dell'anconitano avvenuta nell'ultimo secolo e dell'abbandono delle sue forme più genuine; già nel primo Novecento Palermo Giangiacomi osservava che il vernacolo "va sempre più dileguando, assorbito, parola per parola, dalla lingua madre. L'opera di trasformazione è lentissima, ma evidente: i giovani non parlano più come parlano i vecchi e l'italiano è sempre più adoperato"[48], mentre il coevo Duilio Scandali notava come il vernacolo più stretto fosse prerogativa del popolo minuto e che anche l'occasione di un piccolo avanzamento economico-sociale poteva far scaturire l'esigenza di adottare un registro linguistico il più possibile vicino alla lingua[49]. Con la modernizzazione seguita al secondo dopoguerra questa tendenza ha preso il sopravvento.


Flessioni verbali



Indicativo presente attivo


ciacà (schiacciare)discore (parlare)murì (morire)èsse (essere) (dare) (fare) avé (avere) pudé (potere) stà (stare) andà (andare)
Io ciàcodiscoromòrodagofago ciò pòsso stago vago
Te ciàchidiscorimòrisèi (si / sai)daifai ciài pòi (pòssi / pòsci) stai vai
Lù/lia (essa) ciàcadiscoremòreè cià pòle sta va
Nialtri (nó) ciacàmodiscorémomurìmosémodamofamo ciavémo pudémo stamo (stacémo) andàmo (anàmo)
Vuialtri (vó) ciachédiscorémurì ciavé pudé sté andé
Loro (lora/lori) ciàca(ne)discore(ne)mòre(ne)è(ne)dà(ne)fà(ne) cià(ne) pòle(ne) / pòne sta(ne) va(ne)

Come già ricordato, la terza persona plurale ha due uscite: un'identica alla terza singolare e una in -ne (si usa la forma plurale quando ci sono possibilità di confusione, come quando il soggetto non è chiaramente espresso, si usa la forma singolare in tutti gli altri casi[50]).


Condizionale presente attivo[36]


ciacà (schiacciare)discore (parlare)esse (essere) (dare) (fare) avé (avere) pudé (potere) stà (stare) andà (andare)
Io ciacherìadiscurerìasarìadarìafarìa ciavrìa pudrìa (puderìa) starìa andrìa (andarìa)
Te ciacheresti (-isti)discureresti (-isti)saristi (-esti)daristi (-esti)faristi (-isci) ciavristi pudristi staristi andristi (andaristi)
Lù/lia (essa) ciacherìadiscurerìasarìadarìafarìa ciavrìa pudrìa starìa andrìa (andarìa)
Nialtri (nó) ciacherissimidiscuririmisarissimi (-iscimi)daréssimi (-issimi)farissimi (-iscimi) ciavrissimi pudrissimi starìssimi andrissimi (anderissimi)
Vuialtri (vó) ciacheristidiscuriristisaristidaristifaristi ciavristi pudristi staristi andristi (andaristi)
Loro (lora/lori) ciacherìa(ne)discorerìa(ne)sarìa(ne)darìa(ne)farìa(ne) ciavrìa(ne) pudrìa(ne) / pudrìene starìa(ne) andrìa (andarìa) (-ne)

Anche qui, come nell'indicativo, la terza persona plurale ha due uscite: un'identica alla terza singolare e una in -ne.


Gli "Statuti del mare"


Si tratta del primo documento redatto in anconetano volgare che sia riuscito a pervenire fino a noi, la cui edizione più antica risale al 1397. In essi mancano le finali in -u, e compaiono da un lato elementi tipicamente "mediani", come il raddoppiamento sintattico (a llui, e ssia), l'intercambiabilità dell'articolo lo/el (lo navilio, lo patrone, ma el Podestà, el ditto navilio), i dimostrativi quesso per "codesto", cossoro per "costoro", nonché forme curiose quali bampno per "banno/bando" o candapnato per "condannato"; dall'altro lato compaiono invece influssi adriatici settentrionali, come ad es. coverta per "coperta della nave", marnari per "marinai", livere per "libbre", cargasse per "caricasse", pevere per "pepe". Inoltre, al pari dell'odierno anconetano, anche negli "Statuti" si ha indecisione nella terza persona dei verbi: le mercanzie non se pongano/li patroni non cie le debia mectere. Si potrebbe tuttavia presumere che detti "Statuti" furono realizzati da autori non autoctoni, oppure da persone del posto che però avevano in mente modelli linguistici più prestigiosi, come il toscano o l'umbro, e ciò anche in virtù del bacino di fruitori dei testi in questione, che non doveva essere costituito solo da maestranze locali. Ciò sarebbe inoltre dimostrato dalla presenza di tratti analoghi anche in altri documenti coevi, specie veneziani.


Opere vernacolari


Lo stesso argomento in dettaglio: Poesia vernacolare anconitana.

La vitalità del dialetto anconitano e l'attenzione che esso riscuote sono testimoniate da numerose pubblicazioni e ristampe. Ogni anno nel mese di settembre si svolge nella frazione di Varano il Festival del Dialetto con gruppi teatrali che recitano in dialetto provenienti sia da Ancona che da altre Città marchigiane.

È molto vivo il Teatro in Dialetto, che possiede testi classici dell'inizio del XX secolo ancora frequentemente rappresentati. Il repertorio quasi ogni anno si arricchisce di testi contemporanei.

La poesia vernacolare è anche molto viva e praticata e vanta tra i suoi scrittori classici Duilio Scandali, Palermo Giangiacomi, Turno Schiavoni, Eugenio Gioacchini, Francesco Mario Chirco, Mario Tomassi e Camillo Caglini, cantori dell'anima popolare della Città. Tra i contemporanei Mario Panzini è un poeta e drammaturgo (oltre 14 le sue pubblicazioni, anche sul folklore) ma soprattutto è autore del Dizionario del Vernacolo Anconitano, opera in 3 volumi[36]. Franco Scataglini, nei cui testi risuona un vernacolo arcaico, rivisitato e trasfigurato dalla poesia, è un poeta noto anche a livello nazionale, nell'ambito della riscoperta della forza espressiva. Tra le autrici, è da segnalare Cesarina Castignani Piazza, sia come poetessa che come commediografa. Tra gli autori in dialetto anconitano contadinesco si ricorda Vilario Bordicchia, specie per i testi scritti per la RAI-Ancona con i famosi personaggi di "Cèsaro e Cesira".

La musica vernacolare, spesso collegata ai testi teatrali, ha come simbolo El Portoloto (del 1901, musica di Federico Marini, testo di Duilio Scàndali), una specie di inno popolare. Dopo un periodo di relativo oblio, la musica in dialetto viene diffusa da alcuni gruppi musicali dediti alla ricerca storica, e a nuove composizioni[51].


Espressioni e modi di dire



Un esempio moderno di poesia in Anconitano


Il dialetto anconitano è usato per comporre poesie, poi pubblicate in antologie, calendari, pubblicazioni varie, o anche oggetto di pubbliche letture; come esempio si riporta il seguente brano.

«È dó giorni e dó note
che lia sta lì su quela ponta del molo,
nisciù la riesce a smove,
pare diventata
la statua del dulore.
Col celo, el mare
è tuto 'n grigiore,
j ochi ène fissi là
'nte la speranza da vede spuntà
'na vela bianca.»

(dalla poesia Na dona prega di Maria Pia Marchetti)

Proverbi



Note


  1. La poesia è riportata anche nel sito dell'enciclopedia Treccani Archiviato il 7 marzo 2016 in Internet Archive., alla voce "Scorza" e nel riquadro delle citazioni.
  2. Nel sito Copia archiviata, su ariadeancona.an.it. URL consultato il 9 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2012). è possibile anche ascoltare la poesia in un file audio
  3. Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  4. Mario Panzini, Il Vernacolo Anconitano. Compendio storico - antologico dalle origini ad oggi, Ancona, Edizioni "Nuova Cultura", 1977, p. 20.
    «Mentre la parola «dialetto» designa una lingua popolare propria di una regione, o di un'area di essa, e cioè di un gruppo etnico diffuso in più città e paesi limitrofi (e quindi la parlata è pressoché omogenea, comune a tutto il gruppo), la parola «vernacolo» designa una lingua popolare, autoctona ed estremamente ristretta nello spazio geografico, la cui fondamentale caratteristica sta nell'isolamento del fonèma, cioè dell'effetto sonoro del linguaggio, che vive entro e non oltre le mura cittadine. È il caso della nostra Città, e di poche altre: già [...] a pochi chilometri dal centro storico, il fonèma anconitano non esiste più: così come, appena cento anni fa, più non esisteva fuori della cinta muraria»
  5. Armando Angelucci, sulle riviste L'onda - L'eco dei bagnanti e Flik & Flok; Palermo Giangiacomi Il vernacolo anconitano 1932; Saturno Schiavoni, nella rivista Riguleto; Mario Panzini nel Dizionario del vernacolo anconitano, Controvento editore 2008, vol. I, alla voce "La Chioga"
  6. Maria Lucia De Nicolò, Il Mediterraneo nel Cinquecento tra antiche e nuove maniere di pescare, in Quaderni del Museo, Collana "Rerum Maritimarum", Pesaro, Museo della Marineria Washington Patrignani, 2011.
    «I buranelli in definitiva costituivano nella città dorica una vera e propria colonia veneta, di cui si trova traccia fin dal XIV secolo e che si mantiene fino a tempi recenti con periodici flussi migratori documentabili fra Cinque e Ottocento [...] Recenti ricerche demografiche, non ancora date alle stampe, comprovano che ad Ancona nel secondo Cinquecento nella parrocchia di San Primiano (rione del Porto) era concentrata una vera e propria colonia di buranesi, la cui presenza si registra anche in varie altre località costiere delle Marche. Dai libri parrocchiali infatti, indagati per gli anni che vanno dal 1568 al 1584, si accerta che tra i parrocchiani residenti dediti alle attività marittime (circa il 62%), distinti in marinai e pescatori da una parte (85%) e calafati e marangoni dall’altra (15%), la presenza di soggetti provenienti da Burano raggiunge una percentuale assai elevata (75,8%). La comunità anconitana dei buranelli, alimentata nei secoli successivi da ulteriori ondate migratorie, si mostra sufficientemente connotata e rappresentativa delle sue origini veneziane ancora nel XIX secolo, come si evince dalla stessa terminologia caratterizzante la lingua portolotta, ampiamente documentata nel secolo scorso.»
  7. Nadia Falaschini, Sante Graciotti, Sergio Sconocchia, Homo Adriaticus: identità culturale e autocoscienza attraverso i secoli : atti del convegno internazionale di studio, Diabasis, 1998 (pagina 77)
  8. Marcello Mastrosanti ne Il 1500 ad Ancona (2011) rileva come i notai anconetani spesso lascino il latino per il volgare, mutuando alcuni termini veneti o nord adriatici, quali ad esempio piron (forchetta), carega (sedia), caligher (calzolaio), toso (ragazzo), bacolo (scarafaggio), ecc.
  9. Giovanni Crocioni, "Il dialetto di Arcevia", pagina IX, su archive.org.
  10. Giovanni Crocioni, "Il dialetto di Arcevia" pagina IX, su archive.org.
  11. Marco Ascoli Marchetti, Yiddish Anconetano. Parole, aneddoti e personaggi della comunità ebraica di Ancona, Ancona, Affinità Elettive, 2017, ISBN 978-88-7326-368-5.
    «M'hann ditt che Pepìn và a fa' 'l sahìr; l'han vist bachajare in t'un portòn (sahìr=soldato; bachajare=piangere)»
  12. A titolo esemplificativo, le seguenti espressioni sono tratte dalla poesia La vechia abreva (la vecchia ebrea) di Duilio Scandali:
    «Ganascia del sumar' [...] negro guìn! [...] quest'è la civiltaaa de sti gnarell / e i signor' Istraelit' de tut'Ancon' / dà da mangià ai Crestian' [...]»
    Altri esempi di termini giudeo-anconitani tratti dal Dizionario del Vernacolo Anconitano di Mario Panzini: • ganàv' / ganavéss': ladro / ladra • mugnàr': parlare a vanvera • presènt: tradizionale scambio festivo di dolciumi • rugnàr': mugugnare • sciatìn: stanco Inoltre diverse espressioni anconitane derivano da o hanno legami con la cultura e il linguaggio della comunità ebraica; si segnala (in quanto utilizzata anche al giorno d'oggi) fa sciabà (fare bisboccia), derivato da shabbat
  13. Origine del quartiere "Archi" di Ancona e dei suoi abitanti, su mappadicomunita-ancona.org. URL consultato il 14 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 14 marzo 2018).
  14. Provenienza civitanovese di molti marinai del porto di Ancona, su anconatoday.it. URL consultato il 14 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 14 marzo 2018).
  15. Sanzio Balducci I Dialetti (in La Provincia di Ancona - storia di un territorio, Laterza Roma Bari , 1987 ISBN 88-420-2987-4
  16. Carla Marchetti, in Guida di Ancona, pag. 108 Il Lavoro editoriale 1991 ISBN 88-7663-136-4
  17. IL DIALETTO DI ARCEVIA (Ancona) – Giovanni Crocioni - ROMA - ERMANNO LOESCHER & C.° - (BRETSCHNEIDER E REQENBERO) - 1906 – introduzione pagg. VI-VII
    L'estendersi del dialetto gallo-piceno fin sotto Ancona non deve riuscire inaspettato del tutto ai dialettologi ( 5 ) ai quali la pretesa toscanità dell'anconitano ha dato sempre qualche sgomento.
    Chi si occupò in passato dei dialetti marchigiani ( ! ), con sollecita disinvoltura si affrettò a distribuirli per province, col vieto criterio geografico; e le scritture dialettali, che avrebbero potuto e dovuto chiarire ciò che non chiarivano gli studiosi, erano toscanizzate e ripulite a tal segno, da perpetuare indefinitamente quello sgomento e quell'equivoco.
    Onde nessuno sospettò, neppure alla lontana, che laggiù, oltre l'Esino, confine imaginario fra due opposte correnti dialettali, si protendesse un filone, che a Pesaro e Urbino è ancora gallo-italico, e per Fano, Senigallia e Montemarciano, per Falconara ed Ancona, spogliandosi via via di alcuni caratteri del suo gruppo, andasse a smorire fra i parlari della Marca meridionale,
  18. Il dialetto di Arcevia (Ancona) – Giovanni Crocioni – Roma – ERMANNO LOESCHER & C.- 1906
  19. Duilio Scandali, Scenette e Scenate, 1919.
    «V'è ancora chi sostiene che, comunque, la nostra parlata è una corruzione della lingua itlaliana. Questa opinione è diffusa anche fra persone cólte, ma che di linguistica non si sono mai occupate. Se ciò fosse vero, bisognerebbe ammettere che in un tempo più o meno lontano sulla bocca del nostro popolino avesse risuonato la pura lingua letteraria, il che è storicamente assurdo»
  20. Palermo Giangiacomi, Il Vernacolo Anconitano, in Storie e sturiele, Ancona, P. Giangiacomi - tipografia S.T.A.M.P.A., 1932, p. 87.
    «Non è, quindi, come fu detto da taluni, una corruzione, o storpiatura della lingua italiana, perché allora bisognerebbe ritenere che anticamente qui si parlasse l'italiano puro. Il che è assurdo»
  21. Mario Panzini, Il Vernacolo Anconitano. Compendio storico - antologico dalle origini ad oggi, Ancona, Edizioni "Nuova Cultura", 1977, p. 21.
    «in un recente congresso di studii dialettali un intervenuto [...] definì il vernacolo anconitano una «corruzione della lingua italiana» [...] Chiunque può agevolmente dedurne che si tratta di una definizione a dir poco paradossale [...] e dovremmo ammettere il concetto [...] che il popolo abbia parlato prima la lingua nazionale e poi il dialetto»
  22. Sanzio Balducci, I dialetti, in Sergio Anselmi (a cura di), La provincia di Ancona. Storia di un territorio, Tomo 1 - Aspetti storico-culturali, Falconara Marittima (AN), SAGRAF, 2002, p. 212-215.
    «È difficile trovare in sede storica uno stretto collegamento culturale tra Senigallia e i paesi del Conero: sembra più probabile un’antica connessione costiera tra Fano-Senigallia-Ancona e il Conero, con successivo spostamento del dialetto di Ancona verso moduli più umbri e romaneschi. Ma queste sono supposizioni»
  23. Giuseppe Bartolucci Il Poggio di Ancona e Miti e leggende del Conero anconitano. Ente Parco del Conero, Sirolo, 1997
  24. Massimo Morroni, Il vernacolo osimano, su tulasi.it.
    «Alla fine del Trecento l'influsso toscano lascia le sue conseguenze nei principali centri delle Marche, nelle scritture sia letterarie sia documentarie. Il suo modello viene comunque imposto in maniera diversa; mentre, per esempio, ad Urbino esso è legato al contesto politico e culturale e verrà meno con l'evolversi degli eventi, ad Ancona, dove è fondato su rapporti meramente economici e commerciali, il toscano riuscirà a deviare il corso evolutivo della parlata. Il toscaneggiamento è comunque maggiore negli ambienti aulici, mentre si perde in quelli popolareggianti»
  25. Palermo Giangiacomi, Il Vernacolo Anconitano, in Storie e sturiele, Ancona, P. Giangiacomi - tipografia S.T.A.M.P.A., 1932, p. 87.
  26. Mario Panzini - Dizionario del vernacolo anconitano
  27. Duilio Scandali, Scenette e scenate, 1919.
    «Il nostro vernacolo non conosce geminazione di consonanti. Tuttavia ho mantenuto come pura convenzione grafica, anche ove non esistano in italiano, la doppia Z e la doppia S per indicarne i suoni sordi in confronto di quelli sonori. Le due sibilanti, del resto, come intervocaliche son sempre sonore, meno, appunto, quando corrispondono a doppie italiane»
  28. Sanzio Balducci, I dialetti, in Sergio Anselmi (a cura di), La provincia di Ancona. Storia di un territorio, Tomo 1 - Aspetti storico-culturali, Falconara Marittima (AN), SAGRAF, 2002, p. 215.
    «Ancona opera uno scempiamento sistematico di tutte le doppie sia protoniche che postoniche»
  29. Esempi tratti dalle opere di Duilio Scandali
  30. AA VV, "I parlari italiani in Certaldo", pagina 76, su archive.org.
  31. V. la voce pisciatóra nel "Dizionario del Vernacolo Anconitano" di Mario Panzini
  32. (EN) Michele Loporcaro, Lengthening and "raddoppiamento fonosintattico", in Martin Maiden, Mair Parry (a cura di), The Dialects of Italy, Abingdon, Routledge, 1997, ISBN 0-415-11104-8.
    «In Ancona, total loss of RF (raddoppiamento fonosintattico, ndr) [...] corresponds to context-free degemination word-internally [...] Ancona, as claimed by Rohlfs (1966: 322) is the southernmost outcrop on the Adriatic coast - south of Wartburg's La Spezia-Rimini (or Pellegrini's Carrara-Fano) Line - of Western Romance degemination»
  33. Dialetto di Camerano, su bulgnais.com. URL consultato il 13 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2017).
  34. Dialetto di Osimo, su bulgnais.com. URL consultato il 13 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale il 10 febbraio 2019).
  35. Silvia Micheli, Onomastica cinquecentesca ad Ancona. Profilo linguistico e culturale della città attraverso l’analisi di un repertorio di antroponimi.
    «La sonorizzazione delle consonanti intervocaliche, tratto caratteristico dei dialetti settentrionali e proprio anche dell’anconetano moderno, colpisce soprattutto le velari e la sibilante: nel repertorio spiccano infatti le forme Ciriago e Mariza in cui, nel primo caso, troviamo una occlusiva velare sonora al posto della corrispettiva sorda, nel secondo la sonorizzazione della sibilante viene resa graficamente con una <z>»
  36. Mario Panzini, Dizionario del Vernacolo Anconitano, Controvento editore; in tre volumi, pubblicati dal 1984 al 2008, comprende tutti i vocaboli in vernacolo anconetano ed è quasi un'enciclopedia, raccogliendo anche i nomi di tutti gli autori e delle opere in vernacolo anconitano. Poche città italiane possono vantare un'opera così analitica ed organica dedicata al suo dialetto.
  37. Giovanni Crocioni, "Il Dialetto di Arcevia", pagina IX, su archive.org.
  38. Duilio Scandali, La Bichierola, su anconanostra.com (archiviato dall'url originale il 27 giugno 2015).
  39. Carla Marcellini (a cura di) Dizionario dei dialetti dell'Anconetano Il lavoro editoriale editore Ancona 1996
  40. AnconaNostra - El zzito d'j ancunetani che ama la Pace, su anconanostra.com. URL consultato il 28 settembre 2015.
  41. Come nel detto pesarese Quant à da gì pegg, l’è mej ch’ la vaga acsé (quando deve andare peggio è meglio che vada così)
  42. Annalisa Teodorani, su dialettoromagnolo.it.
    «E ta l sint quant e’ cambia e’ vént (e lo senti quando cambia il vento)»
  43. Carla Marcellini (a cura di) Dizionarietto dei dialetti dell'Anconitano, Il lavoro editoriale 1996
  44. El vent dë bora e ‘l sol, su dialettiromagnoli.it.
  45. Quelo che voleva magnà come magnane i signori (Eugenio Gioacchini), su anconanostra.com.
    «Pacienza; se vede che i signori principia sa le patate per provà più guste sa le robe bone che vieng dope»
  46. Luigi Spotti, Vocabolarietto anconitano-italiano. Voci, locuzioni e proverbi più comunemente in uso nella provincia di Ancona, con a confronto i corrispondenti in italiano, Firenze, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1929, ISBN 9788822248800.
    «Fuori dalle mura cittadine (ed ora, con l'allargamento della cinta daziaria, molto dentro la medesima) ci troviamo di fronte alla parlata contadinesca in cui, oltre a un differente accento, le consonanti doppie riappaiono, e le parole tronche perdono soltanto la vocale finale: veccion (vecchione), carin (carino)»
  47. Mario Panzini, op. citata
  48. Palermo Giangiacomi, Il Vernacolo Anconitano, in Storie e sturiele, Ancona, P. Giangiacomi - tipografia S.T.A.M.P.A., 1932, p. 88.
  49. «[...] per esempio, il basso ceto dirà: Vardé, sora Beta, metéve a séde qui, che qula sedia lì n'è tanta sciuca; e il mezzo ceto: Vardé, sora Beta, meteteve a sedé qui che quela sedia lì, nun è tantu sciuta» (trad. it.: guardate, signora Elisabetta, mettetevi seduta qui, ché quella sedia lì non è così asciutta)
  50. A cura di Alfonso Napolitano Anconitano, lingua di terra e di mare
  51. Dal 1998 è online un sito web ideato e dedicato ad Ancona da Marini Sauro, AnconaNostra.com, completamente scritto in dialetto, che cerca di dare un contributo al mantenimento delle tradizioni popolari; nel sito è presente una corposa rassegna di poeti vernacolari, oltre ad una notevole massa di altre informazioni sulla storia della Città, le sue tradizioni, non tralasciando gli aspetti gastronomici.
  52. La fonte di questa informazione è il pronipote di Enrico, Lorenzo, noto Professore di Elettronica anconetano
  53. da Proverbi, locuzioni, espressioni e gergo nel Vernacolo Anconitano, Mario Panzini, Edizioni Fogola, Ancona, 1980

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