I dialetti marchigiani[2] sono un sistema di dialetti parlati nella regione italiana delle Marche, il cui territorio non è mai stato unito dal punto di vista culturale e linguistico[3]. La regione amministrativa moderna ha infatti racchiuso territori eterogenei dal punto di vista etnico, e sono perciò diverse le varietà linguistiche locali, ben indicate dallo scorrere delle linee Massa-Senigallia e Roma-Ancona, fasci di isoglosse che attraversano il territorio regionale e che fungono da confine linguistico. Tali varietà si possono ascrivere a tre sistemi linguistici (gallo-italico[4][5], mediano[4][5] e meridionale[4][5]) oltre a zone miste di difficile classificazione[6]. Secondo alcune fonti in alcune zone a confine con l'Emilia-Romagna si parlano dialetti della lingua romagnola, altrimenti classificati come dialetti gallo-italici.
Dialetti marchigiani Marchëscià, Marchigià, Marchegià, Marchiggià, Marchigiàn, Marchigèn, Marchizàn, Marchizèn | |
---|---|
Parlato in | Italia |
Regioni | Marche |
Locutori | |
Totale | ~850.000[1] |
Classifica | Non nei primi 100 |
Tassonomia | |
Filogenesi | Indoeuropee Italiche Romanze Gallo-italico/Italiano centrale/Italiano meridionale Dialetti marchigiani |
Carta dei dialetti marchigiani | |
Manuale |
«Il figlio al padre: "O Và, vo' vé lo vì?" e il padre: "Va vè."» |
Tuttavia è importante mettere in evidenza come anche nel territorio marchigiano non si registri mai un passaggio brusco da un'area linguistica ad un'altra, ma si assiste sempre ad una gradualità di modifica nei fattori fonetici, sintattici e lessicali; questa situazione presenta alcune analogie con quella di altre due regioni dell'Italia centrale: quella dell'Umbria e del Lazio, anch'essa contraddistinta dalla presenza di un continuum tra più ripartizioni dialettali.
La diversità linguistica, tipica anche di altre regioni dell'Italia centrale come il Lazio e l'Umbria affonda le sue origini nelle vicende di popolamento più antiche: infatti, mentre nell'età del ferro la regione era interamente popolata dai Piceni, vide poi nel V secolo a.C. l'arrivo dei Galli senoni, popolazione celtica che occupò il territorio settentrionale, e dei greci di Siracusa, che fondarono la colonia di Ancona. Prima della colonizzazione romana il suo territorio si presentava dunque diviso tra il popolo gallico, a nord del fiume Esino, e quello italico dei Piceni, a sud di questo fiume e che occupava anche la parte settentrionale dell'Abruzzo (fino al fiume Saline). Il confine segnava anche una diversità culturale e nei sistemi socioeconomici e conseguenze di tale situazione sono percepibili ancor oggi nella presenza nel nord della regione di dialetti di tipo gallo-italico e di città che gravitano culturalmente e dal punto di vista socioeconomico su Bologna e la pianura padana, mentre nel sud di dialetti di tipo italico-meridionale e di legami socioeconomici che guardano a Roma. Nel centro un'area distinta, in parte di transizione, caratterizzata dalla presenza di Ancona.
Dopo l'occupazione romana, la penetrazione del latino si svolse secondo itinerari diversi, facenti capo alle diverse strade consolari: la via Flaminia per i territori settentrionali già occupati dai Galli senoni, la variante della Flaminia che percorreva la valle dell'Esino per le aree centrali, la via Salaria per i territori meridionali[3]. Si confermò così la differenza dialettale tra nord, centro e sud della regione. Inoltre si deve tener presente che la romanizzazione avvenne secondo due diverse forme: territori annessi e territori alleati; un perno della latinità fu la colonia di Firmum (Fermo), mentre erano città alleate Ancona e Numana sul mare, Camerino, Ascoli Piceno, Matelica e Urbino all'interno; nel caso delle città alleate il Latino si fuse con la lingua preesistente[3].
Nell'Alto Medioevo si conferma, con la creazione della Pentapoli marittima di ambito bizantino, di cui facevano parte Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona, mentre a sud si trovava il potente gastaldato longobardo di Fermo, che si estendeva fino al nord dell'Abruzzo. Si accentua così la ripartizione linguistica già presente tra nord e sud della regione.
Attorno al Mille, con la creazione della Marca di Ancona in tutto l'attuale territorio regionale, il panorama linguistico delle Marche si presenta più omogeneo se confrontato con quello dei secoli precedenti. Esistevano sì le due aree linguistiche a nord e a sud, ma il loro confine non era invalicabile alla circolazione dei fenomeni linguistici; presentavano anzi un coefficiente sensibile di affinità.
Il fenomeno che interessava interamente il territorio regionale era la metafonesi, la quale durò fino al Trecento, quando la toscanizzazione, molto intensa per i rapporti commerciali e culturali, la fece regredire e annullare nell'area centrale. Questa fase interruppe la primitiva continuità linguistica nel territorio marchigiano e da quel momento i due tronconi procedettero staccati, ognuno per proprio conto, producendo ulteriori suddivisioni rispettivamente nel proprio ambito.
Alla fine del Trecento l'influsso toscano lascia le sue conseguenze nei principali centri delle Marche, nelle scritture sia letterarie sia documentarie. Il suo modello viene comunque imposto in maniera diversa; mentre, per esempio, ad Urbino esso è legato al contesto politico e culturale e verrà meno con l'evolversi degli eventi, ad Ancona, dove è fondato su rapporti meramente economici e commerciali, il toscano riuscirà a deviare il corso evolutivo della parlata, specie negli ambienti aulici[7].
Come detto precedentemente, il composito insieme dei dialetti delle Marche appartiene a tre gruppi diversi:
Le tre aree dialettali in parte corrispondono alle vie di penetrazione del latino e sono tra loro così diversificate da rendere reciprocamente incomprensibili i dialetti parlati in aree lontane tra loro.
Le varietà diffuse in quasi tutta la provincia di Pesaro Urbino e in parte di quella di Ancona (circondario di Senigallia e zona del monte Conero) sono definite gallo-picene (o metauro-pisaurine) alla luce della propria natura gallo-italica. Il gallo-piceno è una variante autonoma del gruppo linguistico gallo-italico, esteso soprattutto nell'Italia settentrionale[11].
Secondo altre classificazioni linguistiche, il gallo-piceno è un dialetto di tipo romagnolo o da collegare in qualche modo ad esso; secondo altri è invece una varietà dell'emiliano[12]; tuttavia, uno studio più recente illustra la non completa adesione del gallo-piceno al romagnolo alla luce della presenza di elementi di tipo italo-centrale, affiancati ai fenomeni gallo-italici[13].
Le differenze con gli altri dialetti della regione sono in diversi casi assai spiccate, e possono essere così brevemente sintetizzate:
Sul piano consonantico tratti notevoli sono:
Dei tratti morfologico-sintattici si possono notare i plurali in -ai, -ei, -oi da singolari in "-al, -el, -ol", come anche in Veneto (cavài, cavéi, fagiói) e poi, nella subarea pesarese, i pronomi personali soggetto del tipo mε, tε per "io" "tu", e, in tutta l'area, la reduplicazione dell'intera serie pronominale con forme prive di accento (a Pesaro mε a parle "io parlo", tε t si "tu sei", ló 'l bala "lui balla", lori i bala "loro ballano", el vènt el tira, ecc.).
(Dialetto pesarese)
«Mentr’ acsé le parlèva |
(IT)
«Mentre parlavano così |
(Agostino Ercolessi) |
(Dialetto urbinate)
«Chel foc e chla luc |
(IT)
«Quel fuoco e quella luce |
(Renzo De Scrilli, Le lucciole) |
Nel litorale la zona dialettale pesarese-fanese-urbinate comprende tutte le località fra Gabicce Mare e Marotta e nell'interno abbraccia tutta la Provincia di Pesaro-Urbino tranne l'area di Pergola, dove è parlato un dialetto umbro di derivazione eugubina. Infatti il dialetto pergolese (diffuso nei territori di Pergola, Serra Sant'Abbondio, Cantiano e Frontone) si distingue nettamente dalle restanti parlate della provincia di Pesaro-Urbino in quanto derivato in buona parte dal dialetto eugubino (Pergola fu fondata da Gubbio nel 1234) a cui deve molti termini e modi di dire.
Presumibilmente qui dev'essere passato il primo itinerario della latinità, lungo la via Flaminia, che è penetrata nel nord delle Marche attraverso il passo di Scheggia, incontrandosi e immergendosi nell'ambiente gallo-italico, costeggiando il Metauro.[14]
All'interno di questa subarea è possibile individuare due differenze sostanziali:
«C’era ‘na volta a Snigaja, pog’ da long’ da piazza d’ l’erb’, ‘n magazin’ all’ingross’ d’ frutta e v'rdura. ‘L padron’ s’ cunusceva, e s’ risp'ttava p'rchè era ‘n umon’ e spess’ sgaggiava ma chi tra l’ cass’ giva a tanton. Davanti all’ingross’ c’era anch’ ‘l banchett’ d'la Maggiurina sa ‘n umbr'llon’ e ‘na stesa d’ frutta sopra ‘n carett’. Lia c’era da ‘n pezz’ e piava [...]» |
(Franco Patonico, Poesie) |
È limitata a Senigallia e a centri limitrofi, i cui dialetti non hanno collocazione precisa per via del meticciamento tra forme gallo-italiche e mediane: vi sono infatti influssi pesaresi-urbinati, anconetani, nonché dei dialetti di derivazione eugubina della zona di Pergola, che si fanno ancor più marcati nelle aree limitrofe di Corinaldo, Ripe, Monterado, Castel Colonna, San Lorenzo in Campo, Castelleone di Suasa, mentre i centri di Ostra, Ostra Vetere, Belvedere Ostrense e Barbara presentano una base dialettale jesina, ma hanno subito recentemente influssi senigalliesi e più in generale galloitalici. A nord l'area senigalliese si spinge fino a Marotta-Mondolfo.
I dialetti gallici comunque prevalgono decisamente: infatti come in essi, anche nel senigalliese cadono tutte vocali finali tranne la -a, e tale fenomeno è riscontrabile fino a Montemarciano, al confine tra le aree anconetana e jesina. Qui è usata (come nella bassa Romagna, nell'urbinate, nel pesarese, nell'isola gallica del Conero e nel contado di Ancona, fino ad Osimo e Castelfidardo) la preposizione "sa", che significa "con" e che richiama addirittura il sanscrito "sam" e che si trova anche nelle lingue slave ("s sa" in serbo-croato, per cui può essere un prestito trans-adriatico relativamente recente e non un relitto arcaico, quantunque la parola esista anche nella lingua etrusca). Si sono conservate tracce di influenze marinare settentrionali alto-adriatiche, specialmente venete, come dise per "dice", ma sono ormai quasi del tutto scomparse. Al giorno d'oggi invece, specie lungo la costa, sono avvertibili "echi" dell'anconetano cittadino: a Senigallia è infatti riscontrabile la forma el polz in luogo dell'originaria el pols, nonché un accento relativamente simile, e a Montemarciano sono ormai in uso le forme apocopate mà e pà al posto delle originarie nasalizzate mañ e pañ.
Per capire la situazione dialettale della zona in esame, bisogna sottolineare che essa fu sottoposta nel corso dei secoli alternatamente all'influsso italico e a quello gallico. Inizialmente era terra picena, poi, dopo che i Galli senoni si insediarono nella parte del loro territorio piceno, situata a nord dell'Esino, vi attecchì il substrato celtico (come mostra lo stesso nome Sena gallica). In età augustea il vicino fiume Esino segnava il confine fra il Piceno e l'Ager Gallicus[14]. Nel Rinascimento Senigallia fece parte del Ducato di Urbino, poi della Delegazione apostolica di Urbino e Pesaro (che corrispondeva grossomodo all'odierna Provincia di Pesaro e Urbino) e infine, solo dopo l'Unità d'Italia, passò alla Provincia di Ancona.
«Brev' è la vita e l'unica lampa |
(Giuseppe Bartolucci, da Biagin cucal e altri versi) |
Poco a sud di Ancona, nell'area centrale e meridionale del promontorio del Cònero esiste un'isola linguistica: nelle frazioni anconitane del Poggio, di Massignano, di Montacuto, di Varano (a circa 10 chilometri dal capoluogo), nonché nel comune di Camerano e, parzialmente, Sirolo, Numana, si parla un dialetto particolare, di ceppo gallo-italico, diverso dall'anconitano e simile a quello parlato a nord dell'Esino, a circa trenta chilometri di distanza[15][16]. La caduta delle vocali atone, specie quelle finali, ne è un segno molto evidente (andàn per "andiamo", da qui il detto-scioglilingua cameranense Dì ndu ndan? Non' ndan sul Guast [la enne ha il suono della enne di "lingua"] dove il Guast è il quartiere del Guasto, un toponimo tipico per indicare un luogo dove avvenne una battaglia in seguito alla quale fu definito Guast dal verbo "guastare, rovinare"). Altra caratteristica in comune con il senigalliese è la preposizione sa, che significa "con", il cui utilizzo però sconfina anche in aree prettamente mediane come nel contado osimano e a Castelfidardo.
Solo nel dopoguerra nei centri citati si è cominciata a sentire l'influenza del dialetto anconitano, di impronta centrale (perimediana), che infatti mantiene salde le vocali finali, e che nelle generazioni più giovani ha quasi definitivamente rimpiazzato l'idioma originario, in alcune campagne estintosi fin dagli anni settanta del Novecento. Pur avendo dimensioni limitate, la variante dialettale del Cònero è ricca di tradizione anche scritta, specie poetica[15].
Ci sono varie ipotesi sul motivo di questa particolarità, tra cui la migrazione e lo stanziamento, in epoca pre-romana, di nuclei di Galli senoni, oppure la presenza di una area gallo-italica ininterrotta che doveva un tempo comprendere la stessa Ancona, il cui idioma si orientò poi su modelli di tipo mediano e toscano (con influssi veneti)[17][7]. Potrebbe costituire prova di ciò il fatto che fino agli anni '50 del '900 i parlari gallo-italici si estendessero subito oltre le mura cittadine, ritraendosi poi progressivamente verso le aree più isolate dal centro urbano; a tal proposito, nel Vocabolarietto anconitano-italiano di Luigi Spotti (1929) viene notato come la parlata contadinesca arrivi a lambire, all'epoca, l'interno della città allargata dalla cinta daziaria (quindi presso un'area che va dalla stazione ferroviaria al Piano San Lazzaro)[18]. Del resto anche il vernacolo anconitano condivide numerosi elementi con gli idiomi gallo-italici marchigiani, tratti che potrebbero costituire - prendendo chiaramente per buona l'ipotesi di un antico continuum nel fazzoletto costiero compreso tra l'Esino e il Cònero - residui di una variante urbana poi soppiantata dal vernacolo attuale; se così fosse l'isola linguistica di questo territorio - almeno fino al secondo dopoguerra - sarebbe stata l'area urbana di Ancona.
Inoltre lontano dalla zona del Cònero (che comprende il territorio meridionale di Ancona), le parlate delle frazioni rurali a ovest e nord-ovest della città (per esempio Candia, Paterno o Barcaglione) presentavano forme gallo-italiche (es: capucchióŋ anziché l'anconitano capuchió, bendizióŋ in luogo di benedizió, Barcaióŋ per Barcaió), così come il dialetto parlato fino a pochi decenni fa a Falconara[19] e Castelferretti (quest'ultimo in uso ancora oggi presso i più anziani).
Era poi possibile riscontrare nelle campagne anconitane forme assai curiose, come ad es. quanne per "quando", in cui comparivano contemporaneamente sia un elemento di tipo gallico, cioè l'indebolimento della vocale finale, sia uno di tipo centromeridionale, ossia il passaggio da ND a NN, sconosciuto ad Ancona ma vitale nei centri immediatamente più a sud, come Osimo; altra forma interessante era babbete, sempre con la caduta delle vocali nonché con il suffisso personale posposto al nome, di uso tipicamente centromeridionale, in luogo dell'anconitano tu' padre. È inoltre interessante notare come gli scrittori di teatro anconetani cittadini, nel riprodurre graficamente (e nel parodiare) la nasale velare (ŋ) della zona del Cònero e di altri contadi prossimi alla città, scrivessero le mang per "le mani", è fing per "è fino", suddisfaziong per "soddisfazione".
I dialetti marchigiani centrali interessano le province di Ancona (ad esclusione del circondario di Senigallia e la zona del monte Conero), di Macerata e di Fermo.
La zona dialettale anconitana si estende nella provincia di Ancona, ma non si identifica con essa: si è già visto che nella zona di Senigallia e in quella del Cònero si parlano dialetti di tipo gallo-italico[20]. Le divergenze di sub-area sono così vistose da doversi parlare di quattro sub-aree a sé stanti, che raggruppano vernacoli con alcuni tratti in comune e altri diversificati rispetto a quello del capoluogo:
Vi è infine, come appendice, una zona mista (o "grigia") di confine tra le provincie di Ancona e Macerata, in cui è possibile assistere ad un mescolamento delle caratteristiche dialettali dei rispettivi luoghi.
Per spiegare l'eccezionale diversità linguistica della provincia di Ancona si sono tentate varie spiegazioni, e in particolare è stato sottolineato il fatto che in età romana la zona fosse servita da una diramazione della Flaminia: perciò quest'area è stata interessata da un secondo itinerario della latinità, che, staccatosi dal precedente, dovette passare attraverso il passo di Fossato e Fabriano. Inoltre essa ricalca l'antico confine augusteo (mai venuto meno) tra Regio VI Umbria et Ager Gallicus e Regio V Picenum: da ciò deriverebbe in conclusione l'importanza del substrato umbro nella zona meridionale e di quello gallico a nord.[14]. L'area anconetana è dunque considerabile come uno stretto "corridoio" interposto tra le aree pesarese e maceratese.
Da alcuni linguisti i vernacoli della zona anconitana sono considerati di transizione tra il gruppo mediano e il gruppo gallo-italico, con elementi in comune con i dialetti umbri e quelli toscani[22]: in ogni caso è solo avvicinandosi alla costa che si sentono le ultime influenze gallo-italiche, che poi si dissolvono tra l'Esino e il Potenza, lasciando spazio ai primi tratti tipici delle parlate centromeridionali, riguardo ai quali l'area considerata si trova all'estremo confine settentrionale.
Secondo il professor Giovanni Crocioni il dialetto anconetano è da considerare come l'ultima zona costiera dialettale gallo-picena, che, da Fano verso sud, perdendo progressivamente le sue caratteristiche galliche, si esaurisce a sud di Camerano, divenendo poi parlata picena[23].
A differenza dell'area pesarese-senigalliese, quella anconetana è caratterizzata dalla saldezza delle vocali atone, che presentano esito unificato, rispetto all'area maceratese, dove permane la distinzione tra le originarie -o/-u latine. È tuttavia difficile trovare parametri univoci: lo possono essere il rafforzamento di s dopo liquida e nasale ls, rs, ns in lz, rz, nz (polzo, perzo, penzo), oppure lo scempiamento di -rr- (guera, buro), e ancora l'apocope sistematica di n + vocale nelle parole piane (mà per "mano", bè per "bene", palló per "pallone", gattì per "gattino"), fenomeno quest'ultimo presente anche nel resto delle Marche centro-meridionali e nelle parlate di tipo sabino dell'Abruzzo e Lazio (tra L'Aquila e Tivoli).
Eccezion fatta per il capoluogo e le zone limitrofe, in quest'area compaiono le prime caratteristiche tipiche dei dialetti centro-meridionali italiani: il cambio di nd in nn nel passato era presente fin già nella campagna anconetana ("spandere" diventava spanne), ed è tuttora riscontrabile a partire da Osimo, dove però si mantengono -ld- (caldo), -mb- (gambétta) e -nv- (invido). A Jesi poi -nd- e -ld- convivono con -nn- e -ll-, e in più compare costantemente il passaggio di -nc- a -ng- ("fianco" diventa "fiango", "manco", "mango", ecc), che invece altrove pare essere regredito. A quest'ultimo fenomeno sono connessi anche il passaggio da -nt- a -nd-, e da -mp- a -mb- ("tanto tempo" diventa "tando tembo"), presenti soprattutto nelle ultime località dell'entroterra prossime al confine con la provincia di Macerata, come Filottrano. Relativamente infine alla metafonia, essa è limitata alla sub-area fabrianese, ed è definibile di tipo "napoletano", poiché presenta i dittonghi iè e uò, ma è in via di regresso.
Assente nel capoluogo e nel suo immediato circondario, ma presente soprattutto nelle sub-aree jesina e fabrianese, e giù nel maceratese e nell'ascolano, è quel fenomeno (non sistematico e a volte enfatico), per cui le intervocaliche sorde, anche in fonosintassi, vengono realizzate rilassate, quasi sonore (ad es. le babade, hai gabido, per "le patate", "hai capito"): si tratta chiaramente di un influsso recente di provenienza romana, e vitale soprattutto nelle generazioni più giovani, per via del c.d. "romanesco televisivo".
Pertanto, già nell'immediato entroterra di Ancona e Falconara la cadenza, il lessico e la morfologia fanno sentire i primi influssi dei dialetti mediani tipici, e infatti, procedendo verso sud-ovest, in direzione Fabriano-Filottrano, la parlata ha sempre più caratteri centrali; tuttavia, mentre la degeminazione delle doppie si arresta quasi totalmente nei limiti comunali di Ancona (infatti già ad Osimo e Jesi le geminate esistono come nei dialetti mediani in genere), generalmente in tutta l'area - e addirittura fino all'estremo nord della provincia di Macerata (Recanati-Porto Recanati) - sono utilizzati lu e lia ("lui" e "lei") come pronomi personali, adè ("adesso") come avverbio di tempo (questi due anche nelle zone limitrofe dell'Umbria), e si verifica il fenomeno della lenizione di "t" e "c" intervocalici.
Una parentesi interessante la si può aprire a proposito della pronuncia del dittongo "ie", che nell'area gallo-italica e nel maceratese è pronunciato chiuso nella maggior parte delle parole (iéri, piéno, piéde, insiéme), mentre a Jesi, Osimo e nell'area recanatese esso è pressoché sempre aperto tranne forse in rarissimi casi (ièri, pièno, viène, dièci, piède, ferovière, insième). Gli anconetani invece, per influssi probabilmente sovrappostisi nel tempo, presentano entrambe le forme in base ai singoli vocaboli (iéri, piéno, viène, piéde, insième, tiène). Frequente nella seconda area, nonché in altri posti dell'Italia centrale con analogo fenomeno, l'ipercorrettismo, per cui coloro che hanno il dittongo "ie" aperto lo chiudono, sebbene in italiano standard esso vada pronunciato aperto.
Sempre sul piano vocalico è da segnalare, in difformità dall'italiano standard, la già accennata pronuncia aperta dei suffissi in "-mento" e "-mente", per cui si avrà ad es. momènto, praticamènte, ecc.: questo è un tratto caratteristico a ben vedere di molte aree della regione, perché è riscontrabile fin dall'altezza di Fano, si interrompe dopo Porto Recanati, ma ricompare procedendo da Cupra Martittima verso sud.
Una delle differenze più eclatanti fra i dialetti marchigiani è l'uso dell'articolo determinativo maschile "il": ad Ancona, per influssi gallo-italici, è sempre el, anche dove in italiano è "lo", perciò si ha el mazo, el spegno ("lo ammazzo, lo spengo"), el stesso cà ("lo stesso cane"). Anche come pronome è usato el, dove in Italiano si ha "il" e "lo", salvo che nell'espressione va bè lo stessu ("va bene lo stesso"); a tal proposito va però ricordata la forma l'istessu/l'istesso, attestata nella letteratura vernacolare meno recente[24], il che potrebbe far pensare all'adozione di lo + stesso per adeguamento recenziore al modello italiano). Invece nei comuni siti nell'area compresa tra i due capoluoghi Ancona e Macerata si può assistere a "sfumature" molto interessanti.
Ancona | E' sguardo, el spago, el stucafiso (lo sguardo, lo spago, lo stoccafisso) |
---|---|
Osimo, Jesi, Arcevia | El gatto, lo rifugio, lo ramo, lo spago, Muntobè (il gatto, il rifugio, il ramo, lo spago, molto) |
Fabriano | Er/el gatto, er/el cane, er/el tempo (il gatto, il cane, il tempo) |
Recanati | U gatto, u cà, u palló (il gatto, il cane, il pallone) |
Filottrano | Ir diaulu, u gattu, ru cà, ro zucchero (il diavolo, il gatto, il cane, lo zucchero) |
Macerata | Lu lupu, lu taulu, lo grà, lo vì (il lupo, il tavolo, il grano, il vino) |
La forma ru, di origine molto arcaica, è ancora in parte riscontrabile, seppure in via di regresso, a Filottrano e in molti centri del nord-maceratese, come Cingoli, Treia, ecc., mentre risulta essere regredita a Recanati già dal XIX secolo. Il maschile "il" ad Arcevia si riduce spesso a 'l, ma come nell'osimano davanti a "r" diventa lo (lo ruoso "il rosmarino", lo rosario), a Fabriano si tende a passare in tutti a casi ad er, che convive con el (er cane/el cane). A Porto Recanati almeno attualmente vigono condizioni anconetane con el/la, a Recanati si usa oggi u/a, mentre si hanno lo/la a Potenza Picena e Civitanova Marche. Importante è anche la triplice distinzione dell'articolo in maschile, femminile e neutro: a Cingoli e Serra San Quirico si aveva, almeno fino alla metà del ventesimo secolo, u per il maschile, o per il neutro e a per il femminile, mentre ad Apiro le forme erano ru, ro, ra.
(Dialetto anconitano)
«Io guardo 'sta crucéta sbruzulosa |
(IT)
«Io guardo questa crocetta bitorzoluta |
(Eugenio Gioacchini) |
Il dialetto anconitano ha come centro di origine la sola Ancona, ma nel corso del XX secolo si è esteso alla limitrofa Falconara Marittima, mentre i dialetti degli altri centri vicini al capoluogo, come Camerata Picena, Agugliano, Polverigi, Offagna, Camerano, Sirolo e Numana, hanno subito un progressivo fenomeno di assimilazione all'anconetano di città solo nelle ultime generazioni di parlanti, specialmente a partire dagli anni '60 e '70 del '900. Il dialetto anconitano costituisce dunque un'isola linguistica, certo a causa della storia particolare del capoluogo marchigiano, segnato dalla colonizzazione greca e dalla presenza del porto, fonte di contatti, anche linguistici, con popolazioni anche lontane.
Questo dialetto e la sua famiglia costituiscono il ceppo più settentrionale dell'intero gruppo mediano italiano, e, non a torto, da un discreto numero di studiosi viene considerato addirittura una forma di transizione con il gruppo gallo-italico, per via di numerosi elementi, quali la cadenza, considerata "settentrionale" da chi viene da sud, lo scempiamento delle consonanti (ògi per "oggi")[25][26], la sonorizzazione sistematica di s intervocalico[27] e l'assenza di raddoppiamento fonosintattico che terminano proprio nell'anconetano di città[28], nonché la lenizione delle sorde intervocaliche (digu per "dico"), che però si spinge pure nelle aree jesina e osimana. Gli influssi gallo-italici su base mediana derivano da ragioni storiche, in quanto i secoli VI,VII e VIII videro formarsi l'alleanza, non solo militare ma anche politica, detta Pentapoli. Tale formazione riuniva le città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona, e non poteva non caratterizzare anche linguisticamente questo tratto di costa adriatica: ancora oggi ciò, in aggiunta all'influenza della lingua veneta, accomuna in parte i territori ex Bizantini (area della Romània).
Vi sono comunque numerose consonanze toscane, come l'integrità delle vocali toniche, pronunciate in maniera abbastanza simile all'italiano standard (salvo l'apertura dei suffissi in -mento e in -mente); il mantenimento delle atone, sia finali, con "-o" e "-u" confusi in un fonema unico -o (con la tendenza allo scurimento indistinto di tutte in -u, come ad es. cèlu per "cielo"), sia mediane (anche qui con la stessa tendenza, come ad es. dutóre per "dottore"); e l'assenza di nessi consonantici disagevoli e di consonanti in fine di parola, ma al contrario, come in tutta l'Italia centrale, la tendenza ad aggiungere una -e finale (e' stòpe per "stop", el bare per "il bar").
(Dialetto osimano)
«Quelli, scì, ch'era tempi, lassa cûre, |
(IT)
«Quelli sì, che erano tempi, lascia correre, |
(Gino Vinicio Gentili) |
(Dialetto loretano)
«Nun spettate che parto |
(IT)
«Non aspettate che parta |
(Augusto Castellani) |
Nel dialetto osimano e in quello dei comuni di Loreto, Castelfidardo e Porto Recanati (un bacino di più di 75.000 abitanti), la diversità rispetto al dialetto del capoluogo è in gran parte dovuta all'amministrazione maceratese, che finì coll'Unità nazionale (1861), quando queste città (eccezion fatta per Porto Recanati) passarono sotto la provincia di Ancona.
Gli elementi principali che differenziano queste parlate dall'anconetano sono ad es. il mantenimento delle doppie, eccezion fatta che per la sola "r" (guèra, ma gatto e non gato come ad Ancona), la pronuncia più aperta di alcune vocali, anche rispetto all'italiano standard (chièsa, ièri, piètra, vèrde, fèrmo, nòme, ecc.), il raddoppiamento fonosintattico (a ccasa, è ggiusto; anche il sa consociativo provoca geminazione: sa mme "con me", sa llù "con lui"), l'assimilazione di nd in nn (quanno, mannà, spènne "spendere"), ecc.
Quanto alla lenizione delle consonanti intervocaliche, tutta l'area lenisce la "c" (per es. a Porto Recanati e' stòmbegu "lo stomaco"), mentre la lenizione della "t" e della "p" (es. fradello "fratello", dòbo "dopo", hi cabido "hai capito") è caratteristica quasi esclusiva di Osimo, sebbene negli ultimi decenni si sia fatta strada verso Castelfidardo.
Alcuni dei fenomeni più schiettamente centro-meridionali sono in via di regresso, per l'influsso crescente dell'anconetano cittadino.
Il dialetto di Recanati, facendo da tramite fra questa sub-area e la zona maceratese, ha caratteristiche molto simili a quelle appena elencate; la differenza più vistosa sta nell'uso dell'articolo determinativo maschile u in tutte le posizioni (es. u pà "il pane", u lupo "il lupo").
Il dialetto jesino si presenta abbastanza simile all'osimano, salvo alcune peculiarità come la marcata tendenza alla sonorizzazione di "c" dopo "n" (biango per "bianco"), e una cadenza ancor più distante da quella di Ancona, in quanto l'influsso umbro si fa via via maggiore mano a mano che si procede verso l'interno.
In tale area (che grosso modo ricalca cioè quella zona detta dei Castelli di Jesi, che costituiva l'antica Respublica Æsina, e che comprende, tra i centri più importanti, Monsano, San Marcello, Castelbellino, Maiolati Spontini, Montecarotto, Serra de' Conti, Santa Maria Nuova), si riscontra la già citata lenizione di "t" e "c" (vennéde "vendete", bugo "buco"), nonché un fenomeno tipicamente centro-meridionale, cioè l'alterazione delle consonanti dopo nasale e dopo laterale: -nd- dà -nn- ("quando" diventa "quanno")', -ld- convive con -ll-, e in più compare costantemente, come accennato, il passaggio di -nc- a -ng-.
(Dialetto fabrianese)
«È mesi che c'è secca su la tèra, |
(IT)
«Sono mesi che c'è siccità sulla terra, |
(dalla poesia El tempo di Pietro Girolametti) |
È possibile delineare un ipotetico triangolo Arcevia-Sassoferrato-Fabriano (comprendente anche centri quali Genga, Cerreto d'Esi, ecc.), le cui parlate sono da considerare di transizione non solo e non tanto tra la famiglia anconetana e quella maceratese, ma anche e soprattutto tra quella marchigiana e quella umbra strictu sensu. Infatti si tratta di località poste in aree montagnose, che per un verso hanno favorito l'isolamento dei centri abitati (fattore di particolarismo linguistico), e che per l'altro hanno invece rappresentato per secoli un punto obbligato di importanti vie di transito (fattore di inquinamento linguistico): il tutto ha comunque dato vita ad un'armoniosa composizione, entro un sistema coerente, degli apporti confluiti dalle più varie provenienze, sia cioè dei cosiddetti "superstrati" (Umbri, Galli, Romani, Longobardi), sia degli "astrati" (i tratti importati dalla Toscana, da Roma, dal resto delle Marche e, da ultimo, dall'italiano standard).
Il dialetto di Arcevia, a differenza di quello della vicina Pergola, non ha risentito di alcun influsso galloitalico, ma piuttosto costituisce l'estrema propaggine di un cuneo di penetrazione che dall'Umbria si dirige a nord, in quanto compaiono contemporaneamente tre importanti caratteristiche dei dialetti centro-meridionali (va però evidenziato che al giorno d'oggi risultano in tutto o in parte regredite):
a) la metafonia, di tipo definibile - seppur erroneamente e solo per ragioni di comodità - come "napoletano", in base a cui per azione di "-u" ed "-i" finali, "é" ed "ó" toniche si chiudono in "ì" ed "ù" (pilo "pelo", munno "mondo"), mentre "è" ed "ò" si dittongano in "ié" e "uó" (tiémpo "tempo", puórco "porco"); essa si differenzia perciò dalla metafonesi presente nella famiglia maceratese-fermana-camerte, che è di tipo "ciociaresco-arpinate", cioè senza dittongamenti, mentre concorda sorprendentemente con quella dell'area ascolana: occorre però chiarire che questa metafonia "napoletana" non può esser certo potuta giungere qui provenendo da Ascoli, ma piuttosto dovrebbe esser penetrata dall'altro versante appenninico, per influsso laziale settentrionale, specie viterbese e antico romanesco (infatti a Roma almeno fino al XVI secolo si diceva ancora viecchio, castiello, muorto, cuorpo); oramai però la dittongazione metafonetica esiste solo tra le generazioni più anziane nel territorio arceviese che si estende verso Sassoferrato, oltre che a Murazzano e Montelago (frazioni di Sassoferrato), a Pierosara (frazione di Fabriano) e a Cerreto d’Esi (localmente detta Ciaritu), in cui dittonga per "e" aperta (difiéttu per "difetto", tiémbu per "tempo", ecc.), ma è di tipo maceratese per "o" aperta (faggiólu per "fagiolo", pócu per "poco", qué pórti? per "che porti?", gunfiu come 'n róspu per "gonfio come un rospo", ecc.)[29].
b) il passaggio da -ND- a -NN- (quanno per "quando"), nonché da -MB- a -MM- (gamma per "gamba") e da -LD- a -LL- (callo per "caldo"): per questi tratti, caratteristici di un po' tutto il dominio centromeridionale italiano, l'area in esame si trova all'estremo confine settentrionale;
c) la conversione della -i finale dei plurali maschili in -e. Quest'ultimo fenomeno è circoscritto nelle Marche solo ad Arcevia e a Sassoferrato, ma forse nel passato doveva essere vitale pure a Fabriano, mentre risulta più diffuso in Umbria, specie in un'area che comprende Assisi, Perugia, Todi ed Orvieto; tale tratto penetra poi fino al sud della provincia di Grosseto e al viterbese, al punto che un tempo era riscontrabile pure nel dialetto di Civitavecchia (Roma): per cui si avrà pélo al singolare ma pìje al plurale, io metto, ma tu mitte, io vojo, tu vuoe, io béo, tu bìe, ordene, urdene, monte, munte, iére, campe, quije "quelli", ecc.
Al contrario, il centro in esame e quelli circostanti si trovano all'estremo confine meridionale del fenomeno della lenizione di "-t-" e "-c-" intervocalici: infatti ad Arcevia si ha miga, bugo per "mica, buco", a Sassoferrato pegora, scortegà, cominciade, venede per "pecora, scorticare, cominciate, venite", e a Serra San Quirico frighì per "bambini". In realtà bisognerebbe aggiungere che in un'area comprendente Fabriano, e poi nel maceratese Cingoli, San Severino Marche e Camerino, esistono, o sono esistite, zone in cui la "-t-" dei participi passati in -ato, -uto ed -ito si è dileguata, e ciò dev'essere verosimilmente accaduto dopo che essa ha subito la lenizione, cioè il passaggio a -d-, la quale è divenuta poi spirante: per cui si ha magnào per "mangiato", capìo per "capito", ecc.
Secondo il Balducci, tuttavia, il dialetto della moderna Arcevia, essendo sempre più influenzato dall'area jesina, sarebbe ormai da far rientrare in essa, mentre le frazioni arceviesi situate in direzione di Sassoferrato sono maggiormente conservative e pertanto definibili ancora come "fabrianesi".
«'L pellegrin giva cantando, |
(Canto popolare religioso in dialetto pergolese) |
Il dialetto parlato nel comune di Pergola rappresenta un'eccezione nell'ambito della provincia di Pesaro-Urbino. Esso è completamente differente da quello della maggior parte dei comuni limitrofi in quanto derivante dal dialetto eugubino (Pergola fu fondata da Gubbio nel 1234) a cui deve molti termini e modi di dire. Nelle Marche, gli unici altri comuni che adottano termini simili sono quelli di Serra Sant'Abbondio, Cantiano ed in parte minore Frontone (dove qui il locale dialetto di tipo umbro risulta però essere storicamente molto influenzato dal gallo-italico parlato nella vicina Cagli) , tutti stati sotto l'influenza della città eugubina fra il XIII e il XIV secolo. Per ragioni storiche, anche se di base sarebbero sostanzialmente da considerarsi come parlate umbre, sono comunque qualificabili come appartenenti ai dialetti marchigiani, in quanto la stessa Gubbio fu compresa per quasi cinque secoli nell'Urbinate, e solo con l'Unità d'Italia fu inclusa nell'Umbria, staccandosi amministrativamente dalle Marche e dunque anche da Pergola e zone limitrofe. Difficile si presenta la sua collocazione: probabilmente sarebbe da considerare un dialetto dalla originaria base umbra nord-orientale, su cui si sono impiantati cospicui influssi gallo-italici; oltre all'eugubino, che influenza fortemente il dialetto di Cantiano e assai più debolmente quello parlato a Frontone, nei dialetti di Pergola e Serra Sant'Abbondio ci sono poi anche alcune somiglianze con le subaree anconetana, jesina e arceviese-fabrianese. Infatti la caduta delle vocali atone si registra solo in fonosintassi, e mai in fine di enunciato, similmente al dialetto perugino (ad es. ho comprat' un mazz' de rose), lo scempiamento consonantico è inesistente o debole, la -c- intervocalica è pronunciata già come -sc-, e si verifica già il cambio ls, rs, ns in lz, rz, nz; quest'ultimo è un fenomeno tipico di tutta l'Italia centrale, e nelle Marche è riscontrabile proprio al di sotto della linea Falconara-Ostra-Pergola-Cantiano. Inoltre manca la palatizzazione di -à- tonica eugubina e pesarese, e allo stesso modo si riscontra, a differenza che per Gubbio (se non per alcune frazioni confinanti con Gualdo Tadino), una certa tendenza al raddoppiamento sintattico che a Serra Sant'Abbondio si accentua in concordanza con la zona di Sassoferrato. La -s- intervocalica è invece ancora pronunciata sonora, come avviene nei dialetti gallo-piceni e fino all'area osimana. Infine la cadenza: a Cantiano risulta essere quasi identica a quella umbra nord-orientale mentre a Pergola e a Serra Sant'Abbondio è simile in parte a quella umbra e in parte a quella di Ancona e provincia, presentando ben pochi punti in comune con quella pesarese-urbinate.
Infine le parlate di Serra San Quirico, di Cupramontana, di San Paolo di Jesi, di Staffolo, e, procedendo verso la costa, di Filottrano, Montefano e Recanati sono da considerare forme intermedie tra l'osimano, lo jesino, il fabrianese e il maceratese-fermano-camerte, e comunque risultano di difficile classificazione. Esse infatti:
a) da un lato presentano ancora alcune caratteristiche anconetane, come i pronomi di terza persona plurale lù e lia e la pronuncia aperta dei suffissi in -mento e in -mente;
b) dall'altro fanno uso della parte finale del latino *illum per l'articolo maschile singolare, che può perciò suonare come lu/ru/u a seconda dei luoghi, nonché, eccezion fatta per Recanati, mantengono la distinzione tra -o ed -u finali. È interessante evidenziare come Serra San Quirico rappresenti perciò il punto più settentrionale d'Italia che possiede queste ultime due caratteristiche: ciò è dovuto probabilmente alla secolare dipendenza di tale centro dalla Diocesi di Camerino. A ciò si aggiunge la metafonia di tipo maceratese a Cupramontana, Staffolo e San Paolo di Jesi (vécchiu-vècchia, carzittu-carzétta, gróssu-gròssa, curiusu-curiósa, ecc.).
(Dialetto maceratese-fermano-camerte)
«Ste Marche inzomma è probio desgraziate: |
(IT)
«Queste Marche insomma sono proprio disgraziate: |
(Felice Rampini[30]) |
(Dialetto maceratese-fermano-camerte)
«Li fa de cecio co' na dose justa, |
(IT)
«Li fanno (i "calzoni") di ceci con una dose giusta, |
(dalla poesia Montejorgio Cacionà di Giovanni Capecci) |
(Dialetto maceratese-fermano-camerte)
«Parlà italiano, che t’àgghjo da dì!? |
(IT)
«Parlare italiano, che vuoi che ti dica!? |
(dalla poesia Lu dialettu maceratese) |
La zona dialettale maceratese-fermana-camerte è quella marchigiana centro-meridionale. Quest'area dialettale interessa quasi l'intera provincia di Macerata e, pressoché integralmente, la nuova provincia di Fermo. Analogie con il maceratese si riscontrano anche nella zona dialettale anconitana (o marchigiana centro-settentrionale) tra Fabriano, Cerreto d'Esi e Cupramontana. In ogni caso il passaggio a questa terza sezione è segnato dall'apparire di una forma diversa dell'articolo maschile, lu/lo e non più el.
Verso sud l'area del dialetto maceratese-fermano-camerte raggiunge il fiume Aso, a sud del quale – fatta eccezione per Pedaso, Campofilone (che appartengono alla recente provincia di Fermo), e in parte per Montefiore dell'Aso, Carassai, la Valdaso di Montalto delle Marche, Comunanza e Montemonaco (facenti parte dell'attuale provincia di Ascoli Piceno), aree ancora attratte dal dialetto fermano – è già riscontrabile il fenomeno della riduzione in scevà (indicata con -ë o -ə) di tutte le vocali finali diverse da -a.
Qui doveva essere passato il terzo itinerario della latinità, partendo da Foligno e raggiungendo Treia e Macerata stessa.
La zona di Camerino e paesi limitrofi, si caratterizza ulteriormente per un dialetto più strettamente connesso al latino. Il latino vi penetrò attraverso ulteriori diramazioni della Flaminia lungo le valli del Potenza e del Chienti:[14] qui si conserva dunque una parlata più arcaica, per ovvie ragioni legate all'isolamento, che da alcuni studiosi viene addirittura considerata come a sé stante.
Gli studiosi considerano il dialetto maceratese (con le appendici fermane e camerti) come la parlata più conservativa di tutte le Marche, ossia il fulcro di un'antica parlata marchigiana un tempo molto più estesa, che poi ha subito un attacco a nord da parte del galloitalico e a sud da parte dell'abruzzese. Tuttavia, un importante studio compiuto nel 1993 dal Franceschi ha aperto una spirale sulla genesi e gli sviluppi del maceratese ancora del tutto inedita e tuttora da approfondire: in particolare, è stata ventilata l'ipotesi che anche Macerata avesse conosciuto, forse prima dell'XI-XII secolo, la dittongazione metafonetica erroneamente definibile come "napoletana" in -ie e in -uo (vigente tuttora sia più a nord tra Arcevia e Fabriano, sia più a sud nell'area ascolana), nonché - realtà quest'ultima più remota - la caduta di -e ed -o dopo l, r ed n (come nei dialetti veneti), in un'epoca all'incirca corrispondente all'invasione longobarda in Italia. Questi due fenomeni sarebbero poi regrediti in favore rispettivamente dalla metafonesi "sabina" in -é ed ó e del mantenimento di tutte le vocali finali: ciò si sarebbe verificato in virtù di spinte linguistiche provenienti da ovest, in particolare da Roma, poiché Macerata rappresentava la longa manus del Papato nella Marca. L'area maceratese, e di rimando anche quella fermana, e in misura minore quella camerte, ha pertanto subito maggiori innovazioni rispetto alle zone di Fabriano ed Ascoli: è proprio per questo motivo che la metafonesi dittongata "napoletana" doveva un tempo essere estesa ininterrottamente da Fabriano ad Ascoli e comprendere anche Macerata, e solo successivamente ha ceduto il posto, in quest'ultima località, a quella "sabina" monottongata.[31]
Questi sono gli esiti vocalici e consonantici più caratteristici del dialetto maceratese e fermano:
Pertanto il fenomeno della distinzione tra le originarie "o"/"u" finali mentre sulla costa copre la sola provincia di Fermo, e più precisamente va da Porto Sant'Elpidio a Pedaso, nell'entroterra si estende invece molto più a nord, comprendendo Montecassiano, Cingoli, Apiro, ecc., e spingendosi addirittura fino ai centri più meridionali della provincia di Ancona, quali Filottrano, Staffolo, Cupramontana e Serra San Quirico;
Questi sono alcuni punti notevoli della grammatica del maceratese e del fermano:
indic. pres. | indic. imperf. | condiz. pres. |
---|---|---|
io sò | ero | sarrìa/serrebbe |
tu sì | eri | sarrìa |
issu adè | adèra/era | sarrìa/serrebbe |
noatri semo | eraàmo/samo | serremmo |
voatri séte | eraàte/sate | sarrìa |
issi adè | adèrano/era | sarrìa/serrebbe |
Il dialetto detto genericamente maceratese-fermano-camerte presenta molti caratteri in comune con i dialetti umbri l, sia nel lessico che nella grammatica e, nelle aree poste a sud del fiume Aso, anche con i dialetti marchigiani meridionali.
Come già si può dedurre dall'esame delle caratteristiche generali, l'area linguistica maceratese-fermano-camerte è l'unica che al giorno d'oggi manifesta una tendenza espansiva nel territorio marchigiano: ciò si verifica specialmente in direzione nord-ovest, ossia verso Fabriano - ma non verso nord-est, in quanto lungo la costa adriatica il maceratese sta arretrando per la recente pressione dell'anconetano - nonché verso sud, dove l'abruzzese non può esser certo dotato della benché minima velleità espansiva. Infatti il dialetto fermano, che pur differenziandosi almeno in parte dal maceratese rientra comunque nella sua orbita, ha ormai da decenni valicato il confine del fiume Aso, contaminando (come spiegato nella voce successiva) un po' tutte le parlate dell'area costiera e collinare a ridosso delle province di Fermo ed Ascoli: esso infatti ha prodotto nei centri interessati, specie nell'area tra Carassai e Ripatransone, il fenomeno del c.d. "doppio inventario vocalico"(concordanza sostantivo-aggettivo, soggetto-verbo, soggetto-verbo-oggetto), il quale fa sentire i suoi ultimi effetti a Grottammare, non lontanissimo dunque dal confine abruzzese.[31]
La zona dei dialetti dell'area compresa in gran parte tra il fiume Aso e il Tronto, coincidente pressappoco con l'area residua della provincia di Ascoli Piceno dopo l'istituzione della provincia di Fermo, appartiene al gruppo "marchigiano meridionale"[35] e fa parte dei dialetti italiani meridionali. In quest'area l'introduzione del latino dopo la romanizzazione seguì un percorso diverso da quelli seguiti nell'area centrale della regione e nell'area settentrionale; la via di penetrazione della lingua di Roma fu la via Salaria, che attraversava un territorio sabellico.[14]. Questi dialetti presentano marcati caratteri fonetici di tipo meridionale, dall'indebolimento delle vocali atone ad eccezione della -a finale (pronunciate indistinte, per cui casë per "caso", ma casa per "casa"), alla metafonesi delle toniche, che si presenta in forme diverse secondo le zone.
La metafonesi è di tipo "napoletano" o "sannita": con -i e -u finali, "é" ed "ó" si chiudono in ì ed ù, perciò ad Ascoli si ha issë ("lui"), ma éssa ("lei"), mentre "è" ed "ò" si dittongano, esattamente come nel napoletano in ì ed ù si dittongano in ié ed uó (biéllë ma bèlla, buónë ma bòna). Non mancano i particolarismi locali: in diverse zone ié ed uó passano a ìë ed ùë (nzìëmë per "insieme", chiùëvë per "chiodo"), finendo a San Benedetto del Tronto per coincidere con l'esito di "é" ed "ó" sotto metafonesi, cioè ì ed ù, per cui si ha bìllë, tìmbë, fùchë, eccetera. Questi caratteri sconfinano nella confinante area abruzzese (Sant'Egidio alla Vibrata per la metafonesi ascolana, Martinsicuro per quella sambenedettese), ma successivamente nel resto dell'Abruzzo adriatico permane la metafonesi solo da -i finale, mentre quella da -u ricompare in Molise.
Imprevedibili sono i risultati dell'evoluzione spontanea delle vocali toniche non metafonizzate, cioè il cosiddetto fenomeno dei "frangimenti vocalici", innovazione fonetica che pare essersi originata nei dialetti del teramano, dove è ancora molto vitale, diffondendosi poi anche nei dialetti aso-truentini, dove però pare essersi mantenuta non oltre la metà del XX secolo. Oggi dunque tale caratteristica non è più evidente, anche se ha influito fortemente sul vocalismo dei dialetti costieri nonché di alcune parlate dell'interno, come il dialetto forcese e quello di alcune frazioni dell'Alta Valle del Tronto (come San Martino di Acquasanta e Trisungo). I frangimenti vocalici sono comuni nei dialetti meridionali della costa e subappennino adriatico, soprattutto abruzzesi adriatici, molisani e pugliesi. Tra i fenomeni in questione, meritano di essere ricordati:
Caratteri ben precisi contraddistinguono la zona di Ascoli Piceno, che travalica il Tronto e sconfina anche in Abruzzo:
Caratteristico di un'area attorno ad Ascoli il passaggio di ë (finale o mediana) ad i dopo "l" (mèli per "miele", lindana per "lontana").
A livello morfologico si segnala innanzitutto, come già avviene nel maceratese, lo scambio degli ausiliari "essere" e "avere" nelle forme verbali composte (sò ddittë "ho detto", ma m'avié straccatë "m'ero stancato"). Ma ciò che più preme sottolineare è l'aberrazione di alcuni dialetti nordorientali di confine (soprattutto a Ripatransone e Cossignano), che hanno sviluppato una declinazione nel genere sovrapposta alla coniugazione verbale, caratteristica estranea a tutti gli altri dialetti romanzi: infatti nella flessione del verbo vi è l'interferenza delle desinenze della flessione nominale, impiegate per segnalare nella prima e nella seconda persona il sesso del parlante e dell'interlocutore ("io mangio" è i magnu per un uomo e i magne per una donna, "tu mangi" è tu magnu per un uomo e tu magne). Nella terza persona questo fenomeno riguarda sia il genere naturale sia grammaticale del soggetto ("cresce" è crésciu per un bambino o un albero, crésce per una bambina o per l'erba e créscë per il grano, che è neutro), e la desinenza del neutro è propria anche del verbo impersonale (piòvë, sògnë "piove", "bisogna"). Questo appena esaminato non è altro che uno dei vari aspetti del fenomeno del c.d. "doppio inventario vocalico" (concordanza sostantivo-aggettivo, soggetto-verbo, soggetto-verbo-oggetto), esteso fino a Grottammare.[36]
I confini di quest'area dialettale tendono a sfumare tanto a nord quanto a sud, presentando numerose aree di transizione con il dialetto fermano nell'area della val d'Aso e con il dialetto teramano nella Val Vibrata.
(Dialetto ascolano)
«Uoja tènghe nu cò de tièmpe |
(IT)
«Oggi ho un po' di tempo |
(Dialetto sambenedettese)
«Lu dì de ùje, fa lu genetòre |
(IT)
«Al giorno d'oggi, fare il genitore |
Per le ragioni precedentemente esplicate, sono pochi i tratti definibili come "pan-marchigiani", comuni cioè a tutte le varietà linguistiche diffuse nelle Marche. Tra di essi i più rilevanti paiono essere i seguenti quattro:
Anche nel campo lessicale la situazione appare complessa e composita. Nello studio di F. Parrino sono isolati termini interessanti e più caratteristici delle quattro zone:
Sono anche da notare quei casi in cui la differenziazione tra dialetti settentrionali e meridionali porta a connessioni immediate con le regioni vicine: così il tipo fabbro dei primi, legato alle forme toscane e romagnole, si contrappone al tipo ferraro, che ha riscontro in Abruzzo. Tipiche voci centrali comuni pure a Umbria e Lazio sono nottola per "pipistrello", ragano per "ramarro" e lama per "frana" e "dirupo". Ma forse il caso lessicale più interessante è dato dalla sopravvivenza del latino *ningit nella forma ascolana néngue per "nevica", presente pure in Abruzzo.
|
Questa voce o sezione sull'argomento Dialetti non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti.
|
|
Questa voce o sezione sull'argomento linguistica è ritenuta da controllare.
|
Dati statistici diffusi dall'Istituto nazionale di statistica nel 2006 hanno evidenziato la vitalità delle varietà linguistiche locali delle Marche. Nell'Italia Centrale la regione, insieme all'Umbria, si è infatti contraddistinta per il superamento, in percentuale, dell'utilizzo del dialetto in famiglia rispetto alla media nazionale. Ma è tuttavia alle Marche che spetta il primato: 56,1% contro il 48,5% della media italiana e il 52,6% di quella umbra. Inoltre, nonostante tra il 2000 e il 2006 fosse calato di quasi quattro punti percentuali il numero dei cittadini che si dichiaravano esclusivamente o quasi esclusivamente dialettofoni - dal 18,1% al 13,9%-, è rimasta invece invariata la percentuale di quelli interessati da diglossia[6][37] (bilinguismo in cui coesistono varietà di maggiore e minore prestigio che non si sovrappongono nelle loro funzioni), cioè "bilingui".
Rispetto ad una popolazione complessiva di 1,56 milioni di abitanti, i dialetti marchigiani hanno la seguente composizione.
I dialetti marchigiani settentrionali riguardano circa 440 000 marchigiani, ed esattamente quasi tutta la provincia di Pesaro (380.000) ad eccezione della zona umbrofona di Pergola-Cantiano (10.800), l'area di Senigallia (44,5), Montemarciano (10) e Ostra (6,6), per un totale del 28% circa dei residenti (441 000 su 1,56 milioni).
I dialetti marchigiani centrali riguardano il 58,6% dei residenti (915 000 su 1,56 milioni), così suddivisi:
I dialetti marchigiani meridionali interessano 211 000 persone (tutta la nuova provincia di Ascoli Piceno).
Non si considerano alcune aree particolari, che però non incidono sensibilmente sulle percentuali, come ad es.:
Il film Li tre jorni de la Merla (2013) di Gabriele Felici è tutto in dialetto marchigiano, senza però specificazione della località precisa.
Anche nella serie cinematografica di Brancaleone, con Vittorio Gassman, è possibile riscontrare l'utilizzo di forme dialettali genericamente definibili come "umbro-marchigiane", senza una specifica provenienza.
«Ancona opera uno scempiamento sistematico di tutte le doppie sia protoniche che postoniche» |
(Sanzio Balducci, "I dialetti", in "La provincia di Ancona. Storia di un territorio", a cura di Sergio Anselmi, "Tomo 1 - Aspetti storico-culturali" - Falconara Marittima (AN), SAGRAF, 2002, p. 215.) |
I tre raggruppamenti linguistici in cui sono suddivisi i dialetti marchigiani:
Altri progetti
Controllo di autorità | Thesaurus BNCF 3935 |
---|
Portale Linguistica | Portale Marche |