Il dialetto bobbiese[1] (ar dialèt bubièiś) è una variante del dialetto piacentino della lingua emiliano-romagnola, appartenente al gruppo linguistico gallo-italico. È parlato in provincia di Piacenza a Bobbio, nella zona appenninica della Val Trebbia ed in zone limitrofe delle confinanti province di Pavia e Alessandria.
Voce principale: Dialetto piacentino.
Bobbiese Bubièiś | |
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Parlato in | Italia |
Regioni | parte della Provincia di Piacenza e della Provincia di Pavia |
Locutori | |
Totale | ~10.000 |
Classifica | Non in top 100 |
Tassonomia | |
Filogenesi | Indoeuropee Italiche Romanze Italo-occidentali Occidentali Galloiberiche Galloromanze Galloitaliche Emiliano-romagnolo Emiliano Dialetto bobbiese |
Statuto ufficiale | |
Ufficiale in | - |
Regolato da | nessuna regolazione ufficiale |
Codici di classificazione | |
ISO 639-2 | roa
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ISO 639-3 | egl (EN)
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Estratto in lingua | |
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1 Tüt i òm i e don i nàsa lìbar e cõmpàgn in dignitè e dirìt. Tüt i gh'hàn ra raśòn e ra cuscénsa e i gh'hàn da cõmpurtès vün cón ètõr cmé s' i fìsa fradèi. | |
Manuale |
Come il piacentino propriamente detto, si colloca in posizione centrale nel gruppo galloitalico, essendo influenzato dalle vicine parlate lombarde, piemontesi e liguri; rispetto al piacentino, tuttavia, presenta peculiarità fonetiche, morfologiche e lessicali, dovute alla posizione geografica e allo storico ruolo di centro di scambio lungo la Via del sale, un antico tragitto commerciale che metteva in comunicazione la Pianura padana con il Genovesato.
Il bobbiese è parlato nella città di Bobbio e approssimativamente nei luoghi dell'antica Contea di Bobbio sostituita nel 1743 dalla Provincia di Bobbio fino all'unità d'Italia, che comprendeva zone oggi inserite nella provincia di Piacenza e di Pavia. Sue varianti si rintracciano nei comuni di Coli e in parte di quello di Corte Brugnatella (nello specifico a Rossarola, Carana, Pietranera) ma anche verso nord nelle zone confinanti della provincia di Piacenza verso la Val Tidone e la Val Luretta. Seguendo la Val Trebbia verso sud iniziano zone in cui è parlato un dialetto molto più affine al ligure (nelle frazioni dei comuni di Ferriere nella bassa Val d'Aveto che danno verso la val Trebbia, nel comune di Brallo di Pregola e nella parte centro-meridionale del comune di Corte Brugnatella).
Nella provincia di Pavia, era parlato in alcuni centri confinanti come Romagnese, mentre in alta Val Staffora tornano ad essere parlati dialetti di tipo prevalentemente ligure.
Nonostante Bobbio un tempo facesse parte della provincia di Pavia (l'aggregazione a quella di Piacenza risale al 1923), il suo dialetto, come tutti quelli dell'Oltrepò Pavese, non è strettamente lombardo:[2] già nel 1853 fu classificato da Bernardino Biondelli come dialetto di tipo emiliano. Biondelli lo cataloga infatti come subdialetto del piacentino insieme al bronese, al pavese e al valenzano, tutte varietà comprese nel più ampio gruppo "Parmigiano"[3].
Le vocali sono cinque come in italiano, ma i loro suoni vocalici sono in numero maggiore.
Questa vocale in italiano ha un suono unico ed è identico al suono dialettale della «a» atona.
Quando invece l'«a» è tonica, nel bobbiese può avere due suoni: un suono «à» aperto o meglio prolungato ed un suono «á» meno prolungato.
Esempio: suono aperto e un po' prolungato.
- e bàl (le palle), u cavàl (il cavallo), u camàl (il camallo), ecc.
suono meno aperto me cánt (io canto).
In italiano può avere due suoni: uno chiuso «é» e uno aperto «è». Nel dialetto bobbiese ha anche un suono intermedio: è una «e» atona che nella pronuncia tende a diventare muta o quasi muta. Questo suono intermedio si presenta quando in una parola c'è lo spostamento dell'accento tonico su un'altra vocale, causato da un qualsiasi motivo, coniugazione, alterazione, ecc.
Esempi:
- mé a lèg (io leggo) nün a l'giuma (noi leggiamo) - mé vèd (io vedo) nün a v'duma (noi vediamo) - padèla (padella) padlìn (piccola padella) - lègna (legna) l'gnèra (legnaia).
Può anche succedere che la «e» tonica di un tema verbale, si trasformi in «a» per lo spostamento dell'accento tonico.
Esempi:
- mé pèrl (io parlo) nün parlùma (noi parliamo) - mé aśèrd (io azzardo) nün aśardùma (noi azzardiamo) - mé bèś (io bacio) nün baśùma (noi baciamo) - mé vèr (io valgo) nün varùma (noi valiamo) - mé tèś (io taccio) nün taśùma (noi tacciamo) - mé spèr (io sparo) nün sparùma (noi spariamo) - mé lèv (io lavo) nün lavùma (noi laviamo) - mé pègh (io pago) nün pagùma (noi paghiamo) - mé pèrt (io parto) nün partùma (noi partiamo)
sono verbi che hanno variazioni «nel tema».
Quando nella scrittura troviamo già una lettera accentata la «e» tonica viene indicata con il segno «ē», se il suono è stretto e con il segno «ę» se il suono è aperto. Negli altri casi la «e» è sempre letta come chiusa.
Esempi:
- lü u vedrà (egli vedrà) cręiśmè (cresimare)
La vocale «i» non presenta alcuna difficoltà, si pronuncia come in italiano. L'accento grave è però obbligatorio solamente sulla «i» finale di parola se è tonica, come per esempio negli infiniti della III coniugazione. Es. finì (finire), murì (morire), ecc.
Ma noi lo useremo anche sulla «i» tonica di parole non piane come «vistìs» (vestirsi), «brìscula» (gioco a carte), quando il non metterlo porterebbe confusione nella lettura delle parole.
La vocale «o» in posizione atona si pronuncia come in italiano. In posizione tonica, nel dialetto bobbiese, ha più sonorità:
abbiamo:
-una «ö» molto chiusa e variata come si evidenzia nelle parole: fiö (figlio), linguö (ramarro), ecc.
-una «ó» chiusa come nella parola: mórt (morto), cón (con), ecc.
-una «ò» aperta che troviamo in finale di parola: falò (falò), cumò (comò). ecc.
-una «ô» chiusa con suono nasale: rôba (cosa, roba), vôta (volta), ecc.
Quando nella scrittura troviamo già una lettera accentata, la «o» tonica viene indicata con il segno «ō», se il suono è stretto e come in italiano «o» normale se il suono è aperto.
La vocale «u» in posizione atona si pronuncia come in italiano. In posizione tonica invece abbiamo:
-una «ü» con suono chiuso e turbato: lü (egli), vün (uno), ecc.
-una «ù»con suono aperto, si trova nella maggioranza dei casi in finali di parole: cucù (cuculo), ar sù (il sole), ecc.
-una «ú» con un suono chiuso: parsút (prosciutto)
Nel dialetto bobbiese viene pronunciata come nella lingua italiana.
Come consonante ha, come in italiano, un suono duro davanti alle vocali «a-o-u» e davanti a «h»; quando la «c» si trova a fine parola per ottenere il suono duro la si fa seguire dalla lettera «h» come ad esempio nelle parole «sèch» (secco), «lùch» (sciocco), ecc.; per ottenere invece un suono dolce non la si fa seguire dalla lettera « h » come nelle parole « vèc » (vecchio), «strìc» (lasca), «cùc» (accosciato), ecc.
Nei trigrammi «cia» (ciamè), «cio» (ciôsa), «ciu» (ciùch), la «i» è un semplice segno grafico e non deve essere pronunciata se non ha l'accento.
Questa consonante viene pronunciata come in italiano.
In dialetto si pronuncia come in italiano.
Ha un suono duro davanti a « a-o-u », davanti ad «h» e ad altre consonanti «cme» (come). Quando la si trova in finale di parola, per indicare il suono duro la si fa seguire dalla lettera «h» ad esempio: «bègh» (verme), «lègh» (lago).
Ha invece un suono dolce davanti alle vocali «e-i». Si può trovare anche a fine parola come ad esempio nella parola «lèg» (leggere) ed anche in questo caso, come succede con la «c», per indicare il suono dolce la si scrive senza la « h ».
Nei trigrammi «gia» (giása), «gio» (giòstra), «giu» (giurnè), la «i» è un semplice segno grafico per indicare una pronuncia dolce.
La «g» davanti alla «n» rappresenta il suono nasale di «gnòch».
In bobbiese come in italiano l'«h» viene usata come segno distintivo della pronuncia gutturale della «c» e della «g» davanti alla «e» ed alla «i».
- Nelle cinque voci del verbo « avèi » al presente indicativo e nel passato prossimo dove nella pronuncia rimane muta: me a gh'hô, te at gh'hé, lü u gh'ha, nün a gh'ùma, viètar a gh'hì, lu i gh'hàn; me a gh'hô avìd, te at gh'hé avìd, lü u gh'ha avìd, nün a gh'ùma avìd, viètar a gh'hì avìd, lu i gh'han avìd.
- Come elemento caratteristico di alcune esclamazioni: ah!, oh!, ohimè!, ohibò!, ecc.
È una consonante che viene pronunciata come in italiano: surèla (sorella), fradèl (fratello), cavàl (cavallo), ecc.
Una caratteristica del dialetto bobbiese e degli altri dialetti lombardi, è l'abbandono graduale del rotacismo. Sotto l'influsso della lingua italiana la «r» intervocale viene sostituita dalla «l»; il rotacismo si conserva invece ancora nelle seguenti parole:
Varèi (valere), vurèi (volere), scarògna (scalogna), s'réśa (ciliegia), curtèl (coltello), rigulìsia (liquiriśia), carimè (calamaio), candèira (candela), cariśna (caligine), gùra (gola), ar (il), ra (la), ecc.
Invece del trigramma «gli» che appare nella lingua italiana, davanti ad altre vocali il bobbiese presenta una «i» semivocalica, abbiamo così: familia (famiglia), vöia (voglia), ài (aglio), föia (foglia), bilièt (biglietto), bilièrd (bigliardo), miliùr (migliore), mèi (meglio), tvàia (tovaglia), ecc.
Si nota però che in alcuni casi, in una parlata più «dotta», forse in alcuni italianismi o in termini con grafia italianizzata, il trigramma viene utilizzato. Ad esempio nel congiuntivo imperfetto del verbo imbottigliare (embutiliè) si sente sempre più spesso: «ch'u l'embutiglìsa» invece di «ch'u l'embutili-ìsa» L'utilizzazione avviene più graficamente che foneticamente.
È una vocale che nel dialetto si pronuncia come in italiano.
In molti altri dialetti quando la «m» si trova davanti ad una consonante sorda, nella maggioranza dei casi si comporta come la «n»: si dilegua e nasalizza la vocale precedente.
Esempio: embacüché (infagottato), la «e» che precede la «m» si nasalizza e nella pronuncia viene prolungata sovrapponendosi alla pronuncia della «m»
Ma questa non è una regola, è una consuetudine legata al modo di esprimersi di alcuni e non di altri.
Nel dialetto bobbiese ha un suono come nella parola italiana « nono » quando:
- è all'inizio di parola: num (nome), nuśa (noce), ecc. - si trova tra due vocali: nonu (nonno), pana (panna), ecc. - segue un'altra consonante: mürnè (mugnaio), carìśna (caligine), ecc. - si trova in finale di parola: vśin (vicino), vìn (vino), pàn (pane), ecc.
Una caratteristica importante del dialetto è il dileguamento con nasalizzazione della vocale precedente, quando la «n» si trova davanti ad una consonante «sorda»:
Andè (à è), tànt (tà't), déntôr (dé'tôr), gnént (gné't), marénda (maré'da), enàns (enà's), véntidü (vé'tidü) e così via.
Nella pronuncia la vocale che precede la «n» si nasalizza e viene prolungata sovrapponendosi alla «n».
Ma da uno studio approfondito si nota che questa norma viene applicata sulla maggioranza delle parole, ma non su tutte ed inoltre questo dilenguamento con nasalizzazione resta un modo personale di esprimersi.
Resta difficile nasalizzare: sìngar, ànra, trìnca, vànga, ànca, anvìn, ràncio, bànca, deśmanghès, e moltissimi altri vocaboli.
Si rileva che anche nella parlata corrente, quando la «n», a fine di parola, precede un'altra consonante molti bobbiesi applicano questa norma; ad esempio:
- I gh'han dàt (gli hanno dato) - I gh'hà dàt; pàn gratè (pan grattato) - pà' gratè, ecc.
È una consonante che si pronuncia come in italiano.
Si noti la tendenza del dialetto di sonorizzare le sorde; è frequente il caso che parole italiane che iniziano con la «p», comincino poi nel dialetto con la «b».
Esempi: Prugna (brìgna), palla (bàla), prendere (brônchè),ecc.
Altre invece hanno la consonante «v» al posto della «p» italiana.
Esempi: Savòn (sapone), rèva (rapa), savurìd (saporito), cavì (capello), savèi (sapere), ecc.
Alcune volte avviene anche il dileguamento della «v»: sùra (sopra), cuèrta (coperta), quèrc (coperchio) ecc.
È una consonante che è sempre seguita dalla vocale « u ». Si pronuncia come in italiano.
Il digramma «cq» viene scritto con la sola «q». Es.: Acqua (àqua).
Abbiamo parole che in italiano cominciano con la «c» che in dialetto si trasforma in «q»:
Esempio: Coprire (quatè), coprire (quarcè), coperchio (quèrc), ecc.
e ne abbiamo altre che cominciano in italiano con la «q» che si trasforma in «c»
Esempio: qui (ché), questo (che lü), questa (che lé), ecc.
È una consonante che nel dialetto rende lo stesso suono di quello italiano.
Mentre l'italiano ha conservato questa consonante presente nelle parole latine, il dialetto l'ha persa in moltissimi casi:
- nell'infinito dei verbi: finì (finire), cantè (cantare), vèd (vedere), rìd (ridere), piànś (piangere), ecc. - nei sostantivi che in italiano terminano in «iere»: barbé (barbiere), purté (portiere), cantuné (cantoniere), curiéra (corriera),ecc.
Inoltre la consonante «r» è facilmente soggetta al fenomeno della «metatesi» (inversione nell'ordine di successione dei suoni in una parola).
Esempio: Cardénsa (credenśa), entrégh (integro), marùd (maturo), tarśént (trecento), nòstar (nostri), ecc.
Questa consonante, come in italiano ha due suoni, uno sordo ed uno dolce.
- Ha un suono sordo come nella parole italiane: stanco stràch, corsa cùrsa, crescere crès, ecc.
- Quando invece ha un suono dolce, come nelle parole italiane: sdentato śdentè, schiaffo śgiafòn, slavato ślavè, noi la indicheremo con il segno «ś»
Ha lo stesso suono che in italiano.
In molti casi, in posizione intervocalica ed in finale di parola, la « t » originaria latina da sorda si è trasformata in sonora diventando « d ». Il caso più evidente è il participio passato di alcuni verbi: finìd (finito), savìd (saputo), benedìd (benedetto), bęivìd (bevuto), pianśìd (pianto),ecc.
Altri casi: röda (ruota), nüdè (nuotare), dìd (dito), maridè (maritare), fradèl (fratello).
È una consonante che si pronuncia come in italiano.
Esempi: vün (uno), avèi (avere), avèrt (aperto), öv (uovo), növ (nuovo), vèduv (vedovo), sèrva (serva), ecc.
Frequente nel dialetto è la prostesi (aggiunta di una lettera all'inizio di parola) della «v»: vün (uno), vòt (otto), vès (essere), ecc.
Nel dialetto questa consonante non viene utilizzata; si usano invece le consonanti « s » e « ś »:
a) quando ha il suono sordo nella pronuncia bobbiese si usa «s»
Esempio: zafferano (safràn), forza (fôrsa), zucca (süca), paśienza (pasiénsa), ecc.
b) quando ha il suono sonoro si pronuncia «ś» utilizzando il segno «ś»:
Esempio: mèśa (mezza), laśaròn (lazzarone), ecc., come il suono che si utilizza nella parola italiana «zero».
Una delle caratteristiche del dialetto bobbiese e di tutti i dialetti del gruppo gallo-italico, è la degeminazione, cioè la mancanza delle consonanti geminate (o doppie) rispetto all'origine latina.
Esempio: a bàla (la palla) nel plurale diventa e bàl (le palle).
Gli articoli servono a precisare il valore che si vuole dare al nome, a dar loro un valore determinativo, indeterminativo, generico.
Gli articoli come nell'italiano sono di due specie: determinativi ed indeterminativi.
Nel dialetto bobbiese l'articolo determinativo ha più forme dell'italiano con regole proprie:
I vocaboli che cominciano con vocale hanno l'articolo determinativo l', sia al femminile che al maschile: l'òm (l'uomo), l'ôca (l'oca). Con l'articolo maschile plurale i si ha un caso particolare: i òm (gli uomini), i ôch (le oche).
L'articolo indeterminativo è il seguente:
La coniugazione del verbo in latino presenta 4 coniugazioni ricondicibili in italiano a 3 con differenziazioni nella desinenza ere, il bobbiese ne indica solo ed esclusivamente 3:
(Con.lat. - Desinenza: verbo italiano - verbo bobbiese):
I - (are): cantare - cantè
II - (ere): vedere - vèd
III - (ere): scrivere - scrìv
IV - (ire): finire - finì
In bobbiese non c'è una differenza tra la II e la III coniugazione.
Le desinenze si dividono in: singolare 1,2,3 persona e plurale 1,2,3 persona.
Presente indicativo: /, /, a, ùma, ì, a
Imperfetto indicativo: èva, èv, èva, èvma, èv-va, èva
Futuro anteriore: arô, aré, arà, arùma, arì, aràn
Condizionale presente: arìsa, arìs, arìsa, arìsma, arìsva, arìsa
Congiuntivo presente: a, /, a, ùma, ì, a
Congiuntivo imperfetto: ìsa, ìs, ìsa, ìsma, ìsva, ìsa
Presente indicativo: -, -, a, ùma, ì, a
Imperfetto indicativo: ìva, ìv, ìva, ìvma, ìv-va, ìva
Futuro anteriore: arô, aré, arà, arùma, arì, aràn
Condizionale presente: arìsa, arìs, arìsa, arìsma, arìsva, arìsa
Congiuntivo presente: a, -, a, ùma, ì, a
Congiuntivo imperfetto: ìsa, ìs, ìsa, ìsma, ìsva, ìsa
Presente indicativo: ìs, ìs, ìsa, ùma, ì, ìsa
Imperfetto indicativo: ìva, ìv, ìva, ìvma, ìv-va, ìva
Futuro anteriore: irô, iré, irà, irùma, irì, iràn
Condizionale presente: irìsa, irìs, irìsa, irìsma, irìsva, irìsa
Congiuntivo presente: ìsa, ìs, ìsa, ùma, ì, ìsa
Congiuntivo imperfetto: ìsa, ìs, ìsa, isma, ìsva, ìsa (per la maggioranza dei verbi non esiste).
-Essere (iès o vès)
-Avere (avèi)
Come nell'italiano vi sono anche nel bobbiese una moltitudine di verbi irregolari ognuno con forme differenti sia nel tema che nella fonetica.
A partire dagli anni cinquanta del Novecento, e con l'avvento della civiltà industrializzata, il territorio bobbiese pur isolato ha subito il più massiccio spopolamento specie giovanile ma anche il popolamento di gente, specie commercianti ed artigiani, esterna al territorio e con dialetti differenti. Ciò ha contribuito all'imbarbarimento dell'originale dialetto ormai parlato da pochi anziani.
Del dialetto di Bobbio, oltre ai libri di storia, cultura e allo specifico dizionario, ci sono numerosi scritti e sono tipici il calendario ed il lunario bobbiesi, oltre a feste locali, folcloristiche e teatrali curate dall'associazione locale culturale Ra Familia Bubiéiza[4].
Per il confronto con l'italiano:
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