Con dialetto pavese[1], da alcuni definito anche pavese-vogherese (nome nativo dialet paves-vugares), s'intende l'insieme non codificato delle parlate gallo-italiche diffuse nella provincia di Pavia. Il raggruppamento dei dialetti del Pavese sotto un'unica dicitura si presta tuttavia a difficoltà di classificazione[2], in quanto le diverse varietà locali subiscono l'influenza di quelli di province e regioni confinanti.
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Pavese Paves
Parlato in
Italia
Parlato in
Provincia di Pavia (eccetto la parte settentrionale)
Se nel nord della provincia il dialetto è infatti ascrivibile al ramo occidentale della lingua lombarda[3] già da Bereguardo e Landriano[4], è altresì vero che dal Medioevo la parlata di Pavia e del suo circondario ha assunto tratti emiliani[5][6]. E pur essendo emersa negli ultimi decenni e tra gli abitanti del capoluogo provinciale la tendenza di assimilare il lessico e certi aspetti morfologici (non però fonetici) del vicino dialetto milanese, risulta però ancora molto chiara l'appartenenza del dialetto originario di Pavia e del suo circondario alla più vasta compagine linguistica che lo accomuna non soltanto alle parlate dell'adiacente Lomellina, ma anche a quelle di Voghera e più in generale ai dialetti dell'Oltrepò Pavese, di tipo emiliano[7][8]. Ciò emerge, ad esempio, nel lavoro di A. Annovazzi, autore nel 1934 del Nuovo Vocabolario Pavese-Italiano, nel quale si è cercata la parlata originaria piuttosto nella periferia, e in particolare in Borgo Ticino, che nel centro cittadino.
Ancora, bisogna osservare che, da un punto di vista fonetico, e quindi più basilare, la maggiore somiglianza tra il pavese urbano e i maggiori dialetti vicini è senza dubbio con il piacentino e le varianti emiliane estese fino al solco del fiume Taro, che limita ad est il dominio della ü lombardo-piemontese. Questo fatto giustifica la singolare, ma in definitiva convincente, aggregazione del pavese al variegato gruppo emiliano-romagnolo, proposta già nel 1853 da Bernardino Biondelli in Saggio sui dialetti gallo-italici.[9] Biondelli lo definisce infatti «suddialetto del piacentino, alquanto misto di lombardo». I tratti emiliani erano appunto riconosciuti come distintivi del dialetto cittadino di Pavia almeno nell'Ottocento[10]. Biondelli evidenzia inoltre alcune nette particolarità emiliane nel dialetto di Broni, nell'Oltrepò Pavese, che non permettono di annoverarlo nel gruppo lombardo occidentale al quale è comunque affine. E pur come una sezione di transizione verso il lombardo occidentale, anche la Carta dei dialetti d'Italia elaborata da Giovan Battista Pellegrini nel 1977 indica l'insieme pavese-vogherese come complesso di dialetti di tipo emiliano-romagnolo.[11] Tuttavia, quello in uso a Pavia e dintorni è da alcuni considerato oggi come un dialetto lombardo per la forte influenza esercitata dal milanese, nonostante quella che è stata l'evidente continuità con il piacentino[2]. Studi più recenti suggeriscono che i tratti che il pavese condivide con il piacentino, cioè quelli che hanno determinato la tradizionale aggregazione del pavese all'emiliano, sono però generalmente piemontesi e non emiliani[12].
D'altra parte l'ambito fonetico del pavese continua in provincia di Alessandria nel Tortonese (dove confina con i dialetti della lingua piemontese che iniziano con il dialetto alessandrino), né si può trascurare la sostanziale continuità tra la parlata della Lomellina e quella del soprastante novarese. In conclusione si può affermare che il pavese si trova ben collocato in una zona di transizione soprattutto in direzione est-ovest, o meglio sudest-nordovest, tra i dialetti emiliani e quelli piemontesi. Maggiore discontinuità, soprattutto dal punto di vista fonetico, si ha invece con i dialetti lombardi. Ad esempio il pavese si distingue in special modo dal milanese per la presenza così caratteristica della a chiusa (á) che risulta sostanzialmente identica alle e debole o indistinta (scevà), che sostituisce spesso la è milanese, come nell'articolo determinativo maschile, èl in milanese, ál in pavese (questa caratteristica lo accomuna invece al piacentino). Verso la montagna oltrepadana il pavese trapassa rapidamente sia nel dialetto bobbiese che nel ligure (la parlata di Varzi, alquanto dissimile anche da quella della vicina Voghera, è l'estremità meridionale del pavese, mentre i dialetti dell'area soprastante sono ormai liguri).
Pertanto il pavese, come il piacentino, occupa un ruolo centrale nell'ambito delle parlate gallo-italiche, confinando con tutti e quattro i gruppi in cui esse si usano dividere. Potrebbe essere considerato l'esempio centrale e più caratteristico dell'intero gruppo gallo-italico, laddove invece, per motivi accidentali dovuti alle suddivisioni politiche e amministrative, sembra relegato in una posizione periferica e ad apparire un ibrido tra le parlate rese più note dall'uso in più importanti aggregazioni urbane.
Come detto, all'interno dell'ampio territorio della provincia di Pavia, la parlata non appare comunque omogenea: a parte la difformità già notata della più alta zona montana, le differenze riguardano non la fonetica (se non in qualche area limitata, vedi per esempio l'assenza della eu sostituita sistematicamenta dalla o chiusa in un'area della pianura tra Broni e il Po), ma piuttosto la morfologia. Le diverse aree possono essere identificate in base all'influenza esercitata delle lingue emiliano-romagnola, lombarda e ligure, quest'ultima particolarmente incisiva nell'alta Valle Staffora. Tuttavia, è stata osservata la presenza di una forma di koinè passiva pavese-vogherese, che porta all'attenuazione delle differenze più marcate dei dialetti della provincia. Tale fenomeno è considerato tipico di alcune aree dialettali miste o intermedie e di complessa classificazione.[13]
Fonologia e grafia
Il dialetto pavese, rispetto all'italiano e anche rispetto ai dialetti vicini, possiede un maggior numero di suoni vocalici e un minor numero di suoni consonantici.
Per quanto riguarda le vocali, oltre ai sette suoni vocalici dell'italiano (comprese le forme aperta e chiusa della e e della o), possiede la u chiusa (ü), la o turbata (ö, da taluni scritta eu), in comune con il lombardo e il piemontese e alcuni dialetti emiliani. Inoltre, con il piacentino condivide la a chiusa (á) che svolge anche la funzione di e indistinta o molto aperta. Caratteristica del pavese, anche qui in misura anche maggiore rispetto ai dialetti vicini, è l'esistenza di molti di questi suoni solo in posizione tonica, mentre in posizione atona esistono solo la a chiusa, la i, la u, la u chiusa, e solo raramente la e chiusa. In tal modo, se nella flessione o nella derivazione delle parole una vocale tonica diventa atona, decade in una di queste ultime vocali o scompare (fenomeno linguistico detto sincope, molto comune nell'emiliano-romagnolo. In particolare, tutte le o (chiusa, aperta e turbata) decadono in u, la a aperta decade in a chiusa (o meglio in a atona, semichiusa, verso cui converge anche la a chiusa), la e aperta in a chiusa e la e chiusa in i.
Per quanto riguarda le consonanti, rispetto all'italiano il dialetto pavese manca, delle doppie o geminate come gli altri dialetti gallo-italici, della z, del suono gl , e in comune con il piacentino del suono sc che è invece presente in milanese (es: signora = sciura in milanese, siura in pavese).
Non esiste una grafia standard per il dialetto pavese; quella usata dall'Annovazzi nel suo Dizionario Pavese-Italiano può servire (data la sostanziale omogeneità fonetica di quasi tutta la Provincia) per scrivere la maggior parte delle parlate locali del territorio pavese.
Il dialetto oggi
Tra le tante formule di diffusione a livello regionale del dialetto pavese vi è quella della poesia.
I verbi in pavese
Verbo essere
Indicativo presente: mì sum, tì 't seet, lü l'è, nüm a suma, vialtar sii, lur i henn.
Indicativo imperfetto: mì seri, tì 't serat, lü l'era, nüm a seram, vialtar serav, lur i eran.
Indicativo futuro: mì säroo, tì 't sareet, lü 'l sarà, nüm a saruma, vialter sarii, lur i saran.
Congiuntivo presente: che mì sia, che tì 't siat, che lü 'l sia, che nüm a siam, che vialter sii, che lur i sian.
Congiuntivo imperfetto: che mì seri, che tì 't serat, che lü l'era, che nüm seram, che vialter serav, che lur i eran.
Condizionale presente: mì sarissi, tì 't sarissat, lü 'l sarissa, nüm a sarissam, vialter sarissav, lur i sarissan.
Infinito presente: vess.
Participio passato: stat.
Verbo avere
Indicativo presente: mì gh'hoo, tì 't gh'eet, lü 'l gh'ha, nüm gh'uma, vialtar gh'ii, lur i gh'han.
Indicativo imperfetto: mì gh'avivi, tì 't gh'avivat, lü 'l gh'aviva, nüm gh'avivam, vialtar gh'avivav, lur i gh'avivan.
Indicativo futuro: mì gh'avroo, tì 't gh'avreet, lü 'l gh'avrà, nüm gh'avruma, vialtar gh'avrii, lur i gh'avran.
Congiuntivo presente: che mì gh'abia, che tì 't gh'abiat, che lü 'l gh'abia, che nüm gh'abiam, che vialtar gh'avii, che lur i gh'abian.
Congiuntivo imperfetto: che mì gh'avissi, che tì 't gh'avissat, che lü 'l gh'avissa, che nüm gh'avissam, che vialtar gh'avissav, che lur i gh'avissan.
Condizionale presente: mì gh'avrissi, tì 't gh'avrissat, lü 'l gh'avriss, nüm gh'avrissam, vialtar gh'avrissav, lur i gh'avrissan.
Infinito presente: avégh/'végh.
Participio passato: avüü.
Prima coniugazione
Indicativo presente: mì guardi, tì 't guardat, lü 'l guarda, nüm guardam, vialtar guardii, lur i guardan.
Indicativo imperfetto: mì guardavi, tì 't guardavat, lü 'l guardava, nüm guardavam, vialtar guardavav, lur i guardavan.
Indicativo futuro: mì guardaroo, tì 't guardareet, lü 'l guardarà, nüm guardaruma, vialtar guardarii, lur i guardaran.
Congiuntivo presente: che mì guardi, che tì 't guardat, che lü 'l guarda, che nüm guardam, che vialter guardii, che lur i guardan.
Congiuntivo imperfetto: che mì guardassi, che tì 't guardassat, che lü 'l guardass, che nüm guardassam, che vialtar guardassav, che lur i guardassan.
Condizionale presente: mì guardarissi, tì 't guardarissat, lü 'l guardariss, nüm guardarissam, vialtar guardarissav, lur i guardarissan.
Infinito presente: guardà
Participio passato: guardaa.
Seconda coniugazione
Indicativo presente: mì scrivi, tì 't scrivat, lü 'l scriva, nüm scrivam, vialtar scrivii, lur i scrivan.
Indicativo imperfetto: mì scrivivi, tì 't scrivivat, lü 'l scriviva, nüm scrivivam, vialtar scrivivav, lur i scrivivan.
Indicativo futuro: mì scrivaroo, tì 't scrivareet, lü 'l scrivarà, nüm scrivaruma, vialtar scrivarii, lur i scrivaran.
Congiuntivo presente: che mì scrivi, che tì 't scrivat, che lü 'l scriva, che nüm scrivam, che vialtar scrivii, che lur i scrivan.
Congiuntivo imperfetto: che mì scrivarissi, che tì 't scrivarissi, che lü 'l scrivariss, che nüm scrivarissam, che vialtar scrivarissav, che lur i scrivarissan.
Condizionale presente: mì scrivariss, tì 't scrivarissat, lü 'l scrivariss, nüm scrivarissam, vialtar scrivarissav, lur i scrivarissan.
Infinito presente: scriv.
Participio passato: scrit.
Terza coniugazione
Indicativo presente: mì senti, tì 't sentat, lü 'l senta, nüm sentam, vialtar sentii, lur i sentan.
Indicativo imperfetto: mì sentivi, tì 't sentivat, lü 'l sentiva, nüm sentivam, vialtar sentivav, lur i sentivan.
Indicativo futuro: mì sentaroo, tì 't sentareet, lü 'l sentarà, nüm sentaruma, vialtar sentarii, lur i sentaran.
Congiuntivo presente: che mì senti, che tì 't sentat, che lü 'l senta, che nüm sentam, che vialtar sentii, che lur i sentan.
Congiuntivo imperfetto: che mì sentissi, che tì 't sentissat, che lü 'l sentiss, che nüm sentissam, che vialtar sentissav, che lur i sentissan.
Condizionale presente: mì sentarissi, tì 't sentarissat, lü 'l sentariss, nüm sentarissam, vialtar sentarissav, lur i sentarissan.
Infinito presente: sentì/sëntì/sent.
Participio passato: sentii.
Esempi di dialetto
Differenze fra il dialetto cittadino e quello del Basso Pavese
paves arius
paves de cità
milanes
lüchët
lüchet
lüchet
lüéi
lüvin
lüvin
madzina
medesina
medesina
mantuäna
mantuana
mantuana
nissöi
nissün
nissün
Brani in dialetto pavese
Gh'era ona volta on òm, ch'äl gh'ìva dü fiö.
E 'l minór l'ha dit a sò pàdär: "Papà, ch'äl mä daga quäl ch'äm toca 'd mè part!" E lü l'ha spartii la sostänza in tra i dü fiö.
E dä lì a poch dì, dopo avè fat sü fagòt, äl minór l'è 'ndat pr'äl mond int on paìs lontän, e là l'ha trat via tütcòss int i vizi. Bernardino Biondelli, Saggio sui dialetti Gallo-Italici, pag. 246
Una nuvela del Bucasc
Pavia
Mei disi donca che quand gh'era äl prim re 'd Cipri, dop che Gotifred äd Büglion l'ha guadagnaa Tera Santa, è sücess che una siurena nobila l'è andata in pelegrinagg äl Sepolcar e, 'gnind indree, quand l'è rivaa a Cipri, l'ha truvaa di balusson ch'l'han trataa propri da can. E lee, sentend tüt äl dispiasé, sensa nanca un'anma ca la cunsulàss, gh'è 'gnid in ment d'andà dal re e fà föra i sò rason: ma gh'è stat quaich d'üi ca gh'ha dit dit ch'la trava via 'l fiaa, parchè lü äl menava una vita gnent afat bona e 'l fava gnent äd bei; ansi, vigliach com l'era, äl sufriva e 'l cunsidrava par gnint i ingiüri che i altar ägh fasivan a lü, in manera che quai ca gh'aviva dispiasé con lü, a 's vendicavan fandagh di ingiüri. E la dona, sentend 'sta roba, sicome la gh'aviva nessüna speransa da pudé utegn giüstisia, par 'végh da cunsulàss dal sò dispiasé, l'ha guardaa bei äd tirà a dla sua 'l re, e l'è andata da lü. Quand l'è stata là, piangind davanti a lü, la gh'ha dit: "O 'l mè car siur, mei son chì davanti a tì no par vendëta äd l'ingiüria ch'm'han fat, ma par 'végh un poo 'd sudisfasion äd quäla, ät preghi d'insegnàm com at fee a sufrì quëi ingiüri che senti ch'i altar a 't fan, parchè insì, imparand da tì, pössa anca mei regulàm e supurtà la mé part äd pasiensa, che a la sa 'l Signor, se mei pudiss fa, ät regalariss vulentera, dal mument che tì 't see insì brav äd supurtàla".
Äl re, che fen alora l'era sempar stat pultron e pigar fen ai oss, comé ch'äl se füss dassdaa, cuminciand ad l'ingiüria fata a 'sta dona, che con rigor l'ha vendicaa, l'ha pensaa da mët a pan e pëss tüti quëi che 'ndand inans avissan fat quaicoss contra 'd lü. Giovanni Papanti, Parlari italiani in Certaldo, 1875, pag. 349-350
I numeri
vûn/vûna
dü/du
tri/trii
quatar
cinch
ses
set
vot
növ
des
vûndas
dudas
trédàs
quatordàs
quindas
sedas
darset
dasdot
dasnöv
vint
Il Padre Nostro
Padar Noster che t'see int i ciel
ca'l sia santificà 'l to nom
ca 'l vena 'l to regn
ca sia faja la to vuluntà
insì in ciel tant 'me in tera
I mesi dell'anno
Genar
Febrar
Mars
April
Magg
Giügn
Lüj
Agust
Setembar
Utubar
Novembar
Dicembar
I giorni della settimana
Lünidì
Martidì
Marculdì
Giuedì
Vanardì
Sabat
Duminca
Proverbi
Proverbi della Bassa pavese
Pruerbi dla zona 'd Santa Cristina e Miradolo Terme:
Lä lengua lä gh'hä no i oss, ma s'jä fa rump.
Bisògna végh 'mar in buca e spüdà duls.
Ogni fiö al vegna äl mund cul sò cavagnö.
Bisògna fà 'l pass secundä a la gämba.
Chi gh'ha i fiö in cüna 's na fa növa da nissüna.
L'è mej fà invidia che pietà.
Lä galinä ca gira pär cà s' lä mangiä nò, l'avrà mangiaa.
Lä gatä malfidentä quäl ch'lä fa, lä pensä.
Pän e pagn, i è bòn cumpagn.
A vess vestii cun la roba di altär s'è sempär biut.
Indè ca 'gh n'è, ägh na va.
Lä tròpa cunfidensa lä fa perd la riverensa.
Quand l' è a se cal quasi basta tucal pu se no al sa guasta.
Äl büs dla gula l'è strèt, mä 'gh passa cà e tecc.
Suta al capanei gh' è pan e vei.
Chi vör fà a sò möd, äl mangia la minestra e pö äl beva äl bröd.
Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
Daniele Vitali, Dialetti delle Quattro province, su appennino4p.it, Dove comincia l'Appennino. URL consultato il 28 gennaio 2014.
Giovanni Bonfadini, Dialetti lombardi, su treccani.it, Treccani. URL consultato il 19 marzo 2015.
Profilo linguistico dei dialetti italiani, Loporcaro Michele, Editori Laterza, Bari, 2009, pag. 97, cfr Salvioni C., Dell'antico dialetto pavese. Bollettino della Società Pavese di Storia Patria
Devoto Giacomo, Giacomelli Gabriella, I dialetti delle regioni d'Italia, Sansoni Università, Firenze, 1972, pag. 20
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