Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1 Tutti l'èssiri umani nàscinu lìbbiri e avali nnâ dignitati e nnê dritti. Sunnu dutati di raciuni e cuscenza e s'ànnu a cumpurtari unu cull'autru cu spirdu di fratirnitati.
Essendo classificabile come «dialetto romanzo primario»,[7] l'idioma della Sicilia, in ambito accademico e nella letteratura scientifica italiana, è sovente indicato come dialetto siciliano;[8] le parlate siciliane sono classificate tra i dialetti italiani meridionali estremi, al pari del salentino e del calabrese centro-meridionale (quest'ultimo gruppo, costituito dai dialetti calabresi che vanno dall'estremità meridionale della Calabria fino, grosso modo, all'istmo di Catanzaro, sono spesso considerati una «propaggine continentale» del siciliano, soprattutto per quanto riguarda i dialetti di area reggina: in tal senso, lo Stretto di Messina, che pur costituisce un'evidente frattura tra l'isola e il continente in senso geografico, non ha mai rappresentato una linea di confine linguistico tra la cuspide messinese e la penisola calabra).[9]
Altri studiosi,[10] fra cui l'organizzazione Ethnologue e l'UNESCO,[11] descrivono il siciliano come «abbastanza distinto dall'italiano tipico, tanto da poter essere considerato un idioma separato», il che apparirebbe dall'analisi dei sistemi fonologici, morfologici e sintattici, nonché per quanto riguarda il lessico.[12]
Peraltro il siciliano, seppur appartenente alla stessa continuità linguistica dell'italiano, e cioè quella italo-romanza, non è una lingua che deriva da quest'ultimo, ma - al pari di questo - direttamente dal latino volgare, e costituì inoltre la prima lingua letteraria italiana, già nella prima metà del XIII secolo, nell'ambito della Scuola siciliana. Anche l'UNESCO riconosce al siciliano lo status di lingua madre, motivo per il quale i siciliani sono descritti come bilingui, e lo classifica tra le lingue europee "vulnerabili".[13]
Allo stato di ciò, la lingua siciliana, potrebbe anche essere ritenuta una lingua regionale o minoritaria ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, la quale, all'Articolo 1, afferma che: "... per lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue ... che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato".[14]
Alcuni studiosi asseriscono che il siciliano sia la più antica lingua romanza,[15] ma tale ipotesi non è diffusa o pienamente riconosciuta nel mondo accademico.
Il siciliano è inoltre, dal 1951, materia di ricerca del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, con sede a Palermo, il quale si propone di promuovere gli studi sull'idioma isolano antico e moderno.[16] Nel 2016 è nata l'associazione Cademia Siciliana, con l'obiettivo di portare avanti diverse iniziative legate a tale idioma, tra le quali la standardizzazione della sua ortografia, la sua diffusione in ambiente informatico e la divulgazione scientifica in ambito filologico.[17] Nel 2011, l'Assemblea regionale siciliana, ha approvato una legge che promuove il patrimonio linguistico e la letteratura siciliana nelle scuole dell'isola.[18]
Distribuzione geografica
Lo stesso argomento in dettaglio: Siculofonia.
Il siciliano, nelle sue diverse varianti diatopiche, è correntemente parlato da circa 5 milioni di persone nella sola Sicilia, oltre che da un numero imprecisato di siciliani emigrati o discendenti da emigrati originari di quelle aree geografiche nelle quali il siciliano è lingua veicolare; in particolare quelle trasferitesi, nel corso dei secoli passati, in nazioni quali gli Stati Uniti d'America (Paese nel quale è inoltre anche presente l'argot vernacolare conosciuto come siculish), il Canada, l'Australia, l'Argentina, l'Uruguay, il Venezuela, il Belgio, la Germania e la Francia meridionale.
Lingua ufficiale
Pur non avendo nessun esplicito riconoscimento ufficiale dalla Repubblica Italiana,[19], l'idioma siciliano è riconosciuto dalla Regione siciliana, dall'Unione Europea e dalle organizzazioni sovracitate. È stato in alcune occasioni, al centro di varie iniziative legislative regionali:[20] se il decreto presidenziale del 1951 era incentrato principalmente su un rinnovamento dei programmi scolastici che tenesse conto anche della cultura dialettale in generale,[21] le leggi della Regione Siciliana promulgate nel 1981[22] e nel 2011,[23] recano precise norme sulla valorizzazione e sull'insegnamento del patrimonio linguistico isolano nelle scuole.
Inoltre, il siciliano - attraverso il dialetto reggino - è promosso in base ad una legge regionale del 2012, promulgata dalla Regione Calabria, la quale tutela il patrimonio dialettale calabrese.[24]
Dal 1951, il Centro di studi filologici e linguistici siciliani, con sede presso l'Università di Palermo, patrocinato dalla Presidenza della Regione Siciliana e dai rettori delle università siciliane, promuove gli studi sul siciliano antico e moderno, con una speciale attenzione rivolta al mondo della scuola, per un corretto approccio alla storia linguistica della Sicilia. L'attività del Centro è sostenuta dalla Legge regionale n. 54 del 21 agosto 1984.[25].
Dal 2010 un'apposita sezione del Registro Eredità Immateriali della Sicilia, istituito dalla Regione, è dedicata al Libro dei Dialetti, delle Parlate e dei Gerghi della lingua siciliana.[29]
Nel 2012, la collaborazione tra l'Università di Palermo e la Università Nazionale di Rosario - in Argentina - ha portato alla fondazione del Centro de Estudios Sicilianos accompagnata dall'istituzione di una cattedra di "Cultura e lingua siciliana".[30][31][32]
Nell'anno accademico 2016-17, è stata inoltre istituita, presso la Facoltà di Lettere dell'Università La Manouba di Tunisi, una cattedra di Lingua e Cultura Siciliana, come materia complementare nel cursus del Master d'italianistica, curata dal prof. Alfonso Campisi.[33]
L'organizzazione internazionale no-profit Arba Sicula, con sede a New York, pubblica l'omonima rivista bilingue in inglese e in siciliano.[34] Nel 2004 è stata avviata un'edizione in lingua siciliana di Wikipedia che, al 7 dicembre 2022, annovera 26 230 voci.
Reggino (nella città metropolitana di Reggio Calabria, specialmente lungo la linea Scilla-Bova,[36] non oltre però le aree iniziali della Locride e della piana di Gioia Tauro, le quali rappresentano, a loro volta, la prima delle isoglosse che separano il siciliano dalle varietà calabresi proprie del Meridione continentale.[37][38] Il reggino rappresenta anche l'unico dialetto siciliano propriamente detto ad essere parlato al di fuori dell'isola).[39][40]
«Et primo de siciliano examinemus ingenium, nam videtur sicilianum vulgare sibi famam pre aliis asciscere, eo quod quicquid poetantur Ytali sicilianum vocatur […]»
(IT)
«Indagheremo per primo la natura del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri: che tutto quanto gli Italici producono in fatto di poesia si chiama siciliano […]»
Il siciliano, come qualsiasi altra varietà linguistica, presenta influenze e prestiti di adstrato derivanti, oltre che dalle restanti continuità italo-romanze delle quali forma parte, anche da altre continuità linguistiche neolatine distanti da essa (come quelle gallo-romanze ed ibero-romanze) e da continuità non romanze (principalmente greco-bizantine ed arabo-medievali); data anche la posizione geografica dell'isola, centrale nel Mar Mediterraneo, e predisposta quindi al contatto con tutte le popolazioni che hanno solcato il suddetto mare nel corso dei millenni.
Prima della colonizzazione greca e della penetrazione commerciale fenicia, la Sicilia era abitata unicamente da tre popoli: sicani, elimi e siculi (fra il secondo e il primo millennio a.C.).
L'élimo, lingua parlata dal popolo siciliano stanziatosi nella parte nord-occidentale dell'isola, era probabilmente indoeuropea, e più precisamente di ceppo italico,[41] ma ciò non è stato ancora del tutto assodato, dato che lo studio di questa lingua è relativamente recente e risale agli anni sessanta del XX secolo.[42] Non si sa invece nulla del sicano, lingua del popolo della Sicilia centro-occidentale. Spesso vengono indicate come sicane tutte le iscrizioni non indoeuropee rinvenute nell'isola, ma, in tali casi, si tratta più che altro di supposizioni:[43] non si sa effettivamente molto sulle origini dei sicani, ed esistono solo teorie a riguardo che si rifanno principalmente a Tucidide, il quale li indicava come iberi, ed a Timeo[nonchiaro], che li dava per autoctoni, tesi appoggiata inoltre anche da Diodoro Siculo; tuttavia, non esistendo nessuna testimonianza scritta riguardo alla lingua parlata dai sicani, si continua a restare nel campo delle congetture. Per quanto riguarda invece il siculo, idioma dell'antico popolo egemone della Sicilia, è sicuramente una lingua molto vicina al latino,[44] data la sua appartenenza al gruppo latino-falisco delle lingue italiche, e perciò indoeuropea.
Fenici, greci e romani
Successivamente le coste occidentali dell'isola furono occupate dai fenici, i quali vi fondarono tre empori (fra X ed VIII secolo a.C.), ma, soprattutto, dai greci (a partire dall'VIII secolo a.C.), stanziatisi lungo le restanti coste insulari. Allo stesso tempo, élimi, sicani e siculi si ritirarono nell'entroterra dell'isola, conservando lingua e tradizioni. Sulle tre colonie fenicie della costa occidentale (Palermo, Mozia e Solunto), si parlava la lingua punica. Su quelle orientali e meridionali, si diffuse invece il greco. Quest'ultimo idioma fu per secoli utilizzato come principale lingua di cultura dell'isola, anche in seguito alla conquista da parte dei romani, nel III secolo a.C.. In questo stesso periodo, nella zona dello Stretto, vi si stanziò anche un'altra popolazione italica, quella dei mamertini, i quali portarono con sé la propria lingua di ceppo italico, e più precisamente appartenente gruppo osco-umbro, per cui indirettamente affine al siculo.
L'arrivo del latino intaccò fortemente il panorama linguistico siciliano. Il punico si estinse già in epoca repubblicana, mentre, le parlate indigene, andarono poco a poco scomparendo. Il greco, al contrario, sopravvisse, ma fu prevalentemente utilizzato come lingua delle classi povere dell'isola. I ceti urbani più ricchi e la popolazione delle campagne adottarono invece la lingua latina, che fu favorita anche dalla cristianizzazione e, soprattutto, dalla deduzione di sei importanti colonie di diritto romano, fiorite in epoca augustea.
Influenza tardo-antica
Con il crollo dell'Impero Romano d'Occidente le invasioni barbariche coinvolsero anche la Sicilia, prima con i vandali e poi con gli eruli e gli ostrogoti, trattandosi nei tre casi di popolazioni germaniche. Posteriormente, il sud della penisola italiana, si trovò politicamente diviso fra il dominio bizantino (il quale aveva come obiettivo cardine la riconquista l'Occidente perduto e sostituito dai regni romano-barbarici) che comprendeva, oltre alla Sicilia liberata dalle tribù germaniche, anche la Calabria e il Salento, e da cui dipendevano formalmente alcune città della costa, come Napoli, Gaeta, Sorrento e Amalfi (le quali si erano nel tempo guadagnate una situazione di pressoché totale autonomia), e i restanti territori italici controllati dai longobardi, e suddivisi fra il Ducato di Benevento, il Principato di Salerno e la Signoria di Capua.
Poco prima dell'anno 1000, nel IX secolo, in Sicilia venne a costituirsi l'emirato omonimo, inizialmente dipendente dalla dinastia aglabita, che si sostituì al controllo bizantino sull'isola. Fu in questo contesto che i normanni entrarono nella storia dell'Italia meridionale, scacciando i musulmani. Attraverso i normanni, e mediante il processo di rilatinizzazione dell'isola di Sicilia, subentrarono nel linguaggio siciliano diversi termini gallo-romanzi derivanti dalla lingua normanna, tuttora riscontrabili nel moderno francese e in inglese. Durante il regno normanno, ulteriore lessico neolatino, in questo caso italoromanzo, subentrò in Sicilia tramite le masse popolari provenienti dal Mezzogiorno peninsulare che si mossero verso l'isola al seguito dei nuovi sovrani normanni, in particolar modo provenienti da regioni quali la Campania e la Lucania, nonché attraverso genti provenienti dall'Italia settentrionale, le quali, ripopolando i centri urbani insulari svuotatisi in seguito all'espulsione degli islamici, introdussero in Sicilia i dialetti gallo-italici, diffusisi principalmente nell'entroterra e tuttora vivi nei dialetti galloitalici di Sicilia.[45] Posteriormente, con l'ascesa al trono di Sicilia della dinastia sveva degli Hohenstaufen, e specialmente con il sovrano Federico II, la letteratura e la poesia siciliana vissero un periodo particolarmente florido, dando vita alla cosiddetta Scuola Siciliana, sviluppatasi alla corte di Palermo e fautrice di un significativo impulso su quella che diverrà la lingua italiana.
Letteratura
Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura sicilianaeAulico siciliano.
La letteratura siciliana comprende i testi letterari scritti in lingua siciliana e si è sviluppata nel Regno di Sicilia a partire dal XIII secolo con la Scuola siciliana.
Essa ha una componente popolare importante, poiché a partire dal XVII secolo (e spesso tuttora) la produzione orale è stata molto più coltivata di quella scritta. Gli studiosi si trovano così di fronte ad un'imponente tradizione popolare, che è stata codificata solo nel XIX secolo, e ad un minor numero di documenti scritti di alto valore letterario.
Fonologia
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Vocali
Lo stesso argomento in dettaglio: Sistema vocalico siciliano.
A differenza della lingua italiana che usufruisce di un sistema eptavocalico, cioè a sette vocali, il siciliano sfrutta un sistema pentavocalico, cioè formato da cinque vocali: a, e aperta, i, o aperta, u (sebbene alle volte sia possibile incontrare degli allofoni).
Le principali caratteristiche fonetiche sono:
La a è pronunciata [a] come in italiano.
La i è pronunciata [i] come in italiano.
La u è pronunciata [u] come in italiano.
Consonanti
Lo stesso argomento in dettaglio: Sistema consonantico siciliano.
La d si pronuncia normalmente [d].
La ḍḍ è pronunciata retroflessa: [ɖɖ]. Vedi: beḍḍu, cavaḍḍu. (bello, cavallo)
La r si pronuncia retroflessa ([ɽ]) solo se seguita da vocale; oppure come fricativa retroflessa sonora [ʐ]
Il gruppo tr si pronuncia sempre retroflesso: [ʈɽ]. Vedi: trenu, tri (treno, tre). Eccezion fatta per le Madonie, dove si pronuncia come in italiano.
Le parole che iniziano o contengono str si pronunciano con l'unione dei due fonemi [ʂɽ]. Vedi: strata (strada).
La z si pronuncia quasi sempre sorda ([ts]), raramente sonora. Vedi: zùccaru (zucchero) o zùccuru.
La j si pronuncia [j] come la i italiana di ieri. (Il gruppo consonantico della lingua italiana "gl" assume in siciliano anche la pronuncia "j").
La h non è sempre muta, in alcune aree questa assume la pronuncia di una fricativa palatale sorda come in tedesco "mich".
Il gruppo ng assume una pronuncia velare [ŋ]. Ad esempio sangu (sangue) si pronuncia [ˈsaŋŋʊ]
In siciliano sono presenti molte parole con le consonanti duplicate a inizio parola. Le più comuni sono: cci, nni, cchiù, ssa, ssi, ssu, cca, ḍḍocu, ḍḍà.
Grammatica
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Articoli
Gli articoli determinativi sono (l)u, (l)a, (l)i, l'. Gli articoli lu, la, li, (uso minore) spesso perdono la "L" iniziale diventando u, a, i, in base alla parola che segue, la parola che precede e al contesto utilizzato per rendere la frase più comoda. Quelli indeterminativi sono un(u) o nu, na, n'. In siciliano non esiste la forma plurale di questi (ovvero dei e delle): l'uso di un plurale dell'articolo indeterminativo o di un articolo partitivo spesso non è necessario, sebbene si possano usare espressioni come na pocu di, na para di, (un paio di), na trina di, ma anche n'anticchia di (un pochino di) ecc. La frase Hai del pane? può essere espressa indifferentemente come Ài pani? oppure Ài n'anticchia di pani?
Nel trapanese (ad eccezione dei comuni di Marsala, di Trapani e dell'agroericino) gli articoli non vengono quasi mai accorciati, soprattutto quelli determinativi.
La bimba si è nascosta dietro l'angolo: La nutrica s'ammucciau d'arrè la cantunera.
L'inquilino del piano di sopra ha il passo pesante: Lu vicinu di supra àvi lu peritozzu.
I custodi sorvegliano le barche dentro il molo: Li vardiani talìanu li varchi dintra lu molu.
A Modica e nelle Isole Eolie sono attestate le forme su/sa (singolare) e si/se o semplicemente si (plurale) derivanti dal pronome latino ipse(/-u)/-a[46].
Nomi
I generi sono due: maschile e femminile. Il genere neutro originariamente presente in latino è andato perduto e le parole che vi appartenevano sono confluite nella maggior parte dei casi nel genere maschile, vista la somiglianza tra la seconda declinazione maschile e la seconda declinazione neutra in latino. In tanti casi, tuttavia, si può riconoscere l'originaria appartenenza di una parola al genere neutro dal suo plurale: spesso, infatti, il plurale in -a o -ora che caratterizzava determinati sostantivi latini si presenta ancora oggi in siciliano. Un esempio sono alcune parti del corpo, quali vrazzu (il braccio, dal latino bracchium) il cui plurale è vrazza (le braccia, dal latino bracchia); o ancora citrolu (cetriolo, da citrolum, diminutivo di citrius) il cui plurale è citrola. È da considerarsi errata l'attuale esistenza del genere neutro in siciliano, nonostante la presenza di tali desinenze sia assai diffusa.
Aggettivi
Gli aggettivi vanno accordati in genere e numero col sostantivo cui si riferiscono, e come i sostantivi possono essere di genere maschile o femminile. Per il maschile le desinenze sono -u e -i; per il femminile -a e -i; per il plurale -i. Un picciriḍḍu (bambino) può quindi essere beḍḍu (bello) o duci (dolce), ma non sapurita (graziosa).
In siciliano l'ausiliare per formare i tempi composti è il verbo avere (aviri), il verbo essere (èssiri) si usa solo per la forma passiva.[47] I verbi possono essere: regolari, irregolari, transitivi, intransitivi, riflessivi, difettivi, servili. Rispetto al latino, il sistema verbale è notevolmente semplificato, i modi rimasti sono l'indicativo (i cui tempi sono il presente, il perfetto spesso erroneamente chiamato passato remoto sul modello dell'italiano, l'imperfetto, il piucchepperfetto) e il congiuntivo (i cui tempi sono l'imperfetto e il piucchepperfetto) tra i modi finiti; tra i modi indefiniti rimangono l'infinito, il gerundio ed il participio. Il condizionale, una volta presente, ha visto le sue funzioni assorbite dal congiuntivo, sebbene in pochissime aree della Sicilia ve ne siano dei relitti. Una forma perifrastica paragonabile al passato prossimo italiano, formata da aviri + participio passato esiste ma i suoi usi possono essere diversi a seconda dell'area in cui ci si trova: o in modo simile al passato prossimo italiano (con un aspetto perfettivo, fortemente presente nel dialetto di Caltagirone), o come forma continua assimilabile, per fare un esempio, al present perfect continuous dell'inglese (con un aspetto quindi imperfettivo). Il congiuntivo ha visto la scomparsa del suo presente, le cui funzioni sono state assorbite dall'indicativo presente o dal congiuntivo imperfetto.
Il futuro al giorno d'oggi viene utilizzato principalmente in forma perifrastica ("aviria" + infinito) o attraverso l'indicativo presente che ne assorbe le funzioni (dumani vaju a mari = domani vado/andrò al mare), sebbene una forma sintetica si senta ancora in alcune aree della Sicilia. Lo studioso Giuseppe Pitrè riporta la presenza di un tempo ad hoc nel suo saggio "Grammatica Siciliana"[48]. Leonardo Sciascia, rimarcando la quasi totale assenza di un tempo futuro in siciliano, ebbe a dire: «Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?[49]»
La stessa struttura aviri a + infinito viene usata per esprimere il verbo dovere (che originariamente in latino è un composto del verbo avere, de + habere).
Ogni verbo usufruisce di una forma diversa per ognuna delle sue persone, ragion per cui il soggetto è spesso non necessario.
Avverbi
-Di luogo:
Sotto: sutta
Sopra: supra, ncapu
Giù: jusu
Su: susu
Lì: ḍḍocu
Qua: ccà
Là: ḍḍà
Dove: unni, unna, undi, aundi
Intorno: ntornu
Dentro: dintra
Fuori: fora
Davanti: avanti, davanzi, nn'avanzi
Vicino: vicinu/appressu
Lontano: arrassu/luntanu
Verso a jiri, ammeri
A fianco: allatu/attagghiu, dattagghiu
-Di tempo:
Dopo: doppu
Prima: avanti, apprima
Ora: ora
Ieri: ajeri
Oggi: oji, stajurnata, stujornu
Domani: dumani
Quando: quannu, quandu
Mai: mai
Mentre: mentri
Fino: nzinu/nfinu
Intanto: accuntu
-Di quantità:
Abbastanza: bastanti
Quasi: quasi, quasica
Meno: menu
Più: cchiù
Poco: picca
Quanto: quantu
Molto: assai
Tanto: tantu
Un pochino: anticchia/annicchia (o tanticchia/tannicchia)
-Di maniera:
Come: comu
Bene: bonu
Male: mali, tintu, malu
Così: accussì
Circa: ammeri
Inutilmente: ammàtula, ambàtula
Di nascosto: a mucciuni
All'improvviso: a strasattu, a ntrasatta, tuttu nzemmula
A poco a poco, subdolamente: a picca a picca, nzuppilu
-Altri avverbi: Siccome, dunque, anche, avanti, in primis (prima di tutto), in mezzo, invece.
siccomu
annunca
macari
avanti
prìmisi
Ammenzu, nnô menzu
mmeci, a locu di
Preposizioni
Le preposizioni semplici sono:
a
cu
n
di
pi
nna
nni
nta
ntra
sinza
supra
sutta
Queste preposizioni possono essere usate anche come articoli determinativi:
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Substrato mediterraneo (preindoeuropeo) ed indoeuropeo
I più antichi substrati, spesso di matrice preindoeuropea e visibili in siciliano ancora oggi, esibiscono sia elementi mediterranei preistorici che elementi indoeuropei protostorici o, in alcuni casi, elementi di transizione fra entrambe continuità. Si può quindi affermare che vi sia la presenza di termini preindoeuropei nei dialetti siciliani. In qualunque caso, per ciò che concerne i termini di etimo preistorico, non si può stimare con certezza il momento esatto nel quale tali termini siano comparsi in siciliano, o se i siciliani li abbiano ereditati direttamente dalle autoctone popolazioni preindoeuropee o se tali termini siano subentrati in altro modo.[51]
I termini di derivazione mediterranea (o preindoeuropea) fanno spesso riferimento a piante endemiche del bacino mediterraneo o ad altre caratteristiche naturali del territorio,[52] ad esempio:
alastra - parola generica per alcune specie di leguminose spinose
ammarrari - costruire un canale, un passaggio e simile; fermare, bloccare, ad esempio una corrente d'acqua
calancuni - onda alta e impetuosa di fiume o di torrente in piena
racioppu - raspollo, da tema mediterraneo rak
timpa - collina, poggetto, balza (in greco týmba, tumolo, latino tumba e tumulus).
Per ciò che concerne invece le parole di chiara origine indoeuropea, possono ovviamente presentare similitudini anche con termini attestatisi in altri contesti di attuale lingua indoeuropea decisamente più distanti - tanto filologicamente come geograficamente - dal siciliano o dalle lingue italo-romanze in generale.[53] Alcuni esempi di questi sono:
dudda - mora; come indoeuropeo roudho, gallese rhudd, serbo rūd, lituano rauda significando il colore "rosso"; cfr. romeno "dudă"
scrozzu - infermiccio, venuto su a stento, imbozzacchito; cfr. lituano su-skurdes, arrestato nella sua crescita.
Influenza ellenica (classica e bizantina)
Come per tutta la continuità italo-romanza meridionale estrema, anche per il siciliano, quella greca rappresenta, in assoluto, la principale influenza esterna sull'idioma locale, dato che, a differenza di qualsiasi altra influenza esteriore - che è limitata unicamente a prestiti lessicali, e quindi solamente di adstrato e null'altro - quella della lingua greca, dovuto anche alla sua millenaria presenza nell'isola, non ha solamente intaccato il lessico, ma è bensì penetrata anche nel substrato vernacolare dei parlanti siciliano, anteriormente attraverso il greco antico e, posteriormente, tramite il greco bizantino, i quali sono coesistiti per lungo tempo in diglossia con il latino.[54] A causa di quanto detto, per una parola di origine greca presente nei dialetti siciliani, non è filologicamente facile risalire a quale periodo greco i siciliani iniziarono ad usarla (se in epoca magnogreca o in epoca bizantina) o, ancora, se la stessa parola non sia arrivata in Sicilia per vie diverse. Ad esempio, in epoca romana, nella Sicilia nel III secolo a.C., la lingua latina aveva già preso in prestito diverse parole dalla lingua greca antica.[55]
Le seguenti parole siciliane sono di origine greca (sono inclusi alcuni esempi dove è poco chiaro se la parola derivi direttamente dal greco o se sia giunta nel linguaggio siciliano attraverso il latino):
babbaluciu - lumaca (da boubalàkion), chiocciola
babbiari - scherzare (da babazo, da cui abbiamo: babbazzu, babbu e babbùattu, stupido; in latino babulus e balbus, balbuziente)
bucali - boccale (da baukális)
bùmmulu - piccola brocca per l'acqua (da bombyle; in latino bombyla)
càntaru tazza (da kántharos, coppa)
cartedda - grande cesta intessuta di canne o altro materiale legnoso (da kartallos; in latino cratellum)
chiànca - macelleria (chiàncheri macellaio - dal verbo greco kiankeo macellare)
cirasa - ciliegia (da kerasós; in latino cerasum)
ciciulìu - dolce pasquale di forma circolare, chiacchiera (da kyklos)
cona - icona (da eikóna; in latino icona)
crastu - montone (da kràstos, in latino castratus)
crivu - setaccio (da krino)
cuddura - pane di forma circolare (da kollyra; in latino collyra)
cufinu - cestino (da kophynos)
fasolu - fagiolo (da fasèlos)
macàri - beato, anche (da makàrios)
màrmaru - marmo (da mármaros)
tumazzu - formaggio stagionato (da tumassu, cfr. italiano toma, tipo di formaggio che in siciliano è chiamato tuma)
rasta - vaso per piantarvi fiori (da grasta; in latino gastra, vaso panciuto)
liccu - ghiotto (da liknos).
naca - culla (da nake)
nicu - piccolo (da nicròs, variante di micròs)
ntamari - sbalordire (da thambeo)
pistiari - mangiare (da esthìō)
piricòcu - albicocco (da berikoko)
pitrusinu - prezzemolo (da petroselinon, sedano delle pietre)
timogna - cumulo di grano (da themoonia)
tuppiàri/tuppuliari - bussare (da typtō).
Antichi nomi propri di persona e cognomi siciliani
Gli antichi nomi propri di persona, autoctoni siciliani, ma di etimologia greca e di influenza dorica, si vennero a formare per il passaggio del th greco in lettera (f): th greco = θ = f, suffisso greco αἰος = eo, caratteristica dei Dori di Sicilia. Nel Medioevo i seguenti nomi propri di persona divennero cognomi Siciliani:
dalgreco dorico Aλθαἰος = Alfeo nome proprio di persona = cognome Alfeo o Alfei
dal greco dorico Θαἰος = Feo nome proprio di persona = cognome Feo o Fei (presente anche come
aferesi del già menzionato Alfeo)
dal greco dorico Γρἰθθαἰος = Griffeo nome proprio di persona = cognome Griffeo o Griffei
dal greco dorico Μαθθαἰος = Maffeo nome proprio di persona = cognome Maffeo o Maffei
dal greco dorico Νυνζἰος = Nunzio nome proprio di persona = cognome Nunziato o Nunzi (presente anche come ipocoristico maschile del nome Annunziata)
dal greco dorico Oρθαἰος = Orfeo nome proprio di persona = cognome Orfeo o Orfei
La Sicilia venne conquistata, progressivamente, dai berberi arabizzati dell'Ifriqiya, dalla metà del IX secolo alla metà del X secolo. Durante il periodo di esistenza dell'Emirato di Sicilia, l'isola poté godere di un'epoca di continua prosperità economica e di un'attiva vita culturale, intellettuale ed artistica. L'influenza della lingua araba è riscontrabile, unicamente, in non più di trecento parole,[56] la maggior parte delle quali relazionata all'agricoltura o ad attività relative a quest'ultima. Ciò è comprensibile dovuto al fatto che, gli arabi, introdussero in Sicilia nuovi modelli agricoli, nonché un moderno sistema di irrigazione e nuove specie vegetali, divenute nel corso dei secoli endemiche dell'isola e presenti tutt'oggi.[57]
I seguenti termini sono di etimologia araba:
brunìa/burnia - barattolo (da burniya)
cafisa - misura di capacità per l'olio (da qafiz)
camula - tarma (da qamil/qamla, pidocchio)
balata - pietra o balaustra; per estensione tomba (da balat, pietra, cfr. maltese blata)
capu-rrais - capo, capobanda (da raʾīs, capo)
carrubba - frutto del carrubo (da harrub))
dammusu - soffitto (dal verbo dammūs, cavità, caverna)
gebbia - vasca di conservazione dell'acqua utilizzata per l'irrigazione (da jabh, cisterna)
giuggiulena - seme di sesamo (da giulgiulan)
giurana - rana (da jrhanat)
jarrùsu - giovane effeminato (da ʿarùsa, sposa)
limmìccu - moccio (da al-ambiq)
maìdda - recipiente in legno usato per impastare la farina (da màida, mensa, tavola)
Butera - forse da italianizzazione del nome arabo Abu Tir (padre di Tir), oppure dal mestiere del capostipite espresso dal vocabolo arabo butirah, pastore
Buscema - abi samah, quello che ha il neo
Caruana - dall'arabo, dal persiano kārwān, comitiva di mercanti
Cassarà - da qasr Allah, castello di Allah (o Alì)
Fragalà - "gioia di Allah"
Taibi - tayyb "molto buono"
Vadalà, Badalà - "servo di Allah"
Zappalà - "forte in Allah"
Zizzo - aziz "prezioso"
Sciarrabba/Sciarabba - da sarab, bevanda (di solito vino o altri alcolici)
Lasciti gallo-italici
Lo stesso argomento in dettaglio: Dialetto gallo-italico di SiciliaeLombardi di Sicilia.
Particolarmente interessante è l'influenza delle lingue gallo-italiche, e in particolar modo dell'idioma lombardo, in alcuni comuni della Sicilia. Ancora oggi ritroviamo i cosiddetti dialetti gallo-italici siciliani nelle zone dove l'immigrazione lombarda fu più consistente, vale a dire nei comuni di San Fratello, Novara di Sicilia, Nicosia, Sperlinga, Valguarnera Caropepe, Aidone e Piazza Armerina. Il dialetto gallo-italico non è sopravvissuto in altre importanti colonie lombarde di Sicilia, come Randazzo, Caltagirone e Paternò (anche se, in questi ultimi casi, ha comunque influenzato il vernacolo siciliano locale), così come non sopravvisse nella lingua siciliana parlata in alcuni altri comuni della Sicilia.[59]
L'influenza lombarda, inoltre, è possibile riscontrarla nell'etimologia delle seguenti parole della lingua siciliana, comuni a tutti i dialetti della Sicilia:
soggiru - suocero (da suoxer, a sua volta dal latino socer)
cugnatu - cognato (da cognau, a sua volta dal latino cognatum)
figghiozzu - figlioccio (da figlioz,a sua volta dal latino filiolum)
orbu - cieco (da orb, a sua volta dal latino orbum)
Quando i due condottieri normanni più famosi dell'Italia meridionale, vale a dire, colui che sarebbe divenuto Ruggero I di Sicilia e suo fratello, Roberto il Guiscardo, iniziarono la conquista della Sicilia nel 1061, controllavano già l'estremo sud dell'Italia (la Puglia e la Calabria). A Ruggero sarebbero stati necessari altri trent'anni per completare la conquista dell'isola. Durante questo periodo, la Sicilia si latinizzò e cristianizzò per la seconda volta, facendo sì che, diversi termini gallo-romanzi di derivazione normanna, subentrassero nel lessico dei vernacoli locali;[60] per esempio:
avugghia - ago (dal francese aiguille)
darrìeri - dietro (da derrière)
àutru - altro (da autre)
bucceri/vucceri - macellaio (da boucher, cfr. il mercato di Palermo La Vuccirìa, vuccirìa significa anche confusione)
lariu - brutto (da laid, cfr. Italiano laido, di origine celtica)
largasìa - generosità (da largesse)
mustàzzu - baffi (da moustache, cfr. inglese mustache)
nzajari - provare (da essayer)
puseri - pollice (da poucier)
quasetti/cosetti - calze (da "chausettes")
racìna - uva (da raisin)
rua - via (da rue)
stujari - asciugare, strofinare (da essuyer)
trippari/truppicari - inciampare (dal normanno triper; ma anche provenzale trepar)
tummari/attummuliari - cadere (da tomber)
trubberi - tovaglia da tavola (da troubier)
Altri prestiti gallo-romanzi sono quelli subentrati nel siciliano attraverso il provenzale antico, e ciò ha due possibili cause:
alcune parole del provençal potrebbero essere entrate a far parte del linguaggio siciliano durante il regno della regina Margherita, fra il 1166 e il 1171 quando, suo figlio, Guglielmo II di Sicilia, fu incoronato re all'età di 12 anni. La regina fece attorniare il giovane sovrano da uno stuolo di consiglieri provenienti dalla Provenza, nel sud della Francia e, quindi, è probabile che diversi termini del provençal, attraverso la corte, subentrarono nelle prime prose in aulico siciliano scritte da autori locali durante quel medesimo periodo, diffondendosi di conseguenza nel parlato popolare.
la scuola siciliana (discussa sotto) è stata influenzata della tradizione poetica dei trovatori provenzali (troubadours). Inoltre, attenendoci ad un elemento importante della cultura siciliana, e cioè la tradizione delle marionette siciliane (l'òpira dî pupi) e quella dei cantastorî, possiamo riscontrare senza alcun dubbio che i trovatori provenzali erano attivi durante il regno di Federico II di Svevia e che, con molta probabilità, alcune parole del provençal siano state assimilate nella lingua siciliana in questo modo.[61] Alcuni esempi di parole siciliane derivate dal provençal sono:
aḍḍumari – accendere (da allumar)
aggrifari – rapinare (da grifar)
lascu - sparso, largo, sottile, raro (da lasc, da cui il verbo 'allascarisi', allontanarsi, scostarsi)
lavanca - precipizio (da lavanca) da cui allavancari, cadere
paru/pariggiu - uguale (da paratge)
Prestiti ibero-romanzi
È possibile riscontrare un cospicuo numero di prestiti di adstrato dalle lingue ibero-romanze - in particolar modo dal castigliano, e, in minor misura, dal catalano - nel siciliano, sebbene essi siano limitati esclusivamente al lessico superficiale, come, ad esempio, al nome di specifici oggetti o alla definizione di taluni atteggiamenti. Tuttavia, specialmente per quanto riguarda il castigliano, è errato attribuire all'influenza spagnola ogni singola somiglianza tra il siciliano e quest'idioma: essendo ambedue lingue romanze o neolatine, la maggior parte degli elementi comuni o somiglianti vanno infatti fatti risalire esclusivamente al latino volgare o, tutt'al più (e soprattutto nel caso specifico del siciliano), anche ad altre continuità romanze - come quelle gallo-romanze e gallo-italiche - attraverso le quali, alcuni termini, possono essere subentrati in maniera simile tanto nel siciliano come nel castigliano.[62]
Va anche tenuto in conto che, a partire dalla metà del XVI secolo - e quindi nel pieno dell'epoca in cui il Regno di Sicilia divenne un viceregno governato dalla monarchia ispanica - la lingua ufficiale e amministrativa dell'isola, così come in tutti gli altri regni e Stati italiani preunitari, in sostituzione del latino, era ormai già divenuta l'italiano (con l'unica eccezione del Regno di Sardegna insulare, dove l'italiano standard assunse tale posizione soltanto a partire dal XVIII secolo).[63]
Alcuni esempi di castiglianismi nei dialetti siciliani sono:
abbuccari - cadere di lato, capovolgere, inclinare (da abocar)
accabbari - concludere, finire (da acabar)
asciari - trovare, ritrovare (da hallar)
attrassari - ritardare (da atrasar)
criàta - serva (da criada)
currìa - cinghia (da correa)
curtigghiu - cortile, pettegolezzo (da cortijo)
làstima - lamento, fastidio (da lástima, pena)
manta - coperta (da manta)
mpanatigghi - “impanatelle”, dolce tipico modicano (la cui etimologia potrebbe essere relazionata al termine empanadillas)
nzajari - provare (da ensayar)
ntonzi - allora (da entonces)
paracqua/paraccu - ombrello (da paraguas)
percia - gruccia (da percha, dal latino pertica)
punzeddu - pennello (da pincel)
sartania - padella (da sartén)
taccia - chiodo (da tacha)
vàia!/avàia - ma và!, ma dai!, uffa! (da ¡vaya!)
Nel caso del catalano - il quale è spesso incluso tra le lingue lingue occitano-romanze o, in alcuni casi, considerato di transizione fra la continuità ibero-romanza e quella occitano-romanza - la formazione di alcune parole derivanti dal latino ha avuto esiti simili a quelli di alcuni termini del siciliano, senza che però vi sia necessariamente presente, per entrambe le parti, un processo etimologico di derivazione esterno alla lingua latina.[64] Specificando quindi che, un termine con esiti analoghi a quelli del siciliano in altre lingue romanze, non sta a significare che esso sia passato da queste ultime in siciliano o in eventuali altre lingue neolatine che dovessero presentare la stessa analogia, e viceversa.[65]
Alcuni esempi di catalanismi nei dialetti siciliani sono:
acciaffari - schiacciare (da aixafar)
accupari - soffocare dal caldo (da acubar)
affruntàrisi - vergognarsi (da afrontar-se, che significa anche "confrontarsi")
arrascari - grattare, raschiare (da rascar)
arriminari - mescolare (da remenar)
capuliari - tritare (da capolar)
fastuchi - pistacchi (da festuc)
nzirtari - indovinare (da encertar)
pila (al femminile) - lavello, vasca (da pila).
priàrisi - rallegrarsi (da prear-se)
stricari - strofinare (da estregar)
Prestiti dall'inglese statunitense
Alcune parole della lingua siciliana derivano dal contatto con l'inglese parlato negli Stati Uniti. Questo è dovuto alla grande emigrazione di massa post-risorgimentale, quando, partendo dalla Sicilia e da altri porti italiani, sbarcarono ad Ellis Island (fra il 1892 ed il 1924) un gran numero di siciliani.
Il secondo periodo di contatto fra le due lingue è inevitabilmente legato alla fine della seconda guerra mondiale, nonché al più recente avvento della globalizzazione, la quale ha fatto sì che svariati termini inglesi subentrassero in diverse lingue europee.
Alcuni esempi di anglicismi statunitensi sono:
firrabbottu - traghetto (da ferry boat)
piscipagnu - pino rigido (da pitch-pine)
bissinìssi - affare (da business)
fruzatu - congelato (da frozen)
frichicchiu - palla contesa nel gioco del calcio, e tirata in mezzo a due giocatori avversari dall'arbitro (da free-kick, adottato nel dopo guerra, in seguito allo sbarco degli statunitensi in Sicilia).
Sistema di scrittura
Lo stesso argomento in dettaglio: Alfabeto siciliano.
L'alfabeto siciliano si compone delle seguenti 23 lettere in caratteri latini:
A B C D ḌḌ E F G H I J L M N O P Q R S T U V X (Ç) Z
I segni grafici usati in siciliano sono l'accento grave, il circonflesso e la dieresi (nelle vocali i e u). L'accento grave va messo quando l'accento cade nell'ultima vocale (come in italiano), come accento tonico e quando una parola finisce in "-ia" (es.: catigurìa, camurrìa, etc.). Il circonflesso è usato per indicare che la parola è stata contratta, in particolare nelle preposizioni articolate: di lu = dû. La dieresi è usata nei rarissimi casi dove occorre separare un dittongo (es.: sbrïugnatu).
Esempi
Estratto di Antonio Veneziano
Lo stesso argomento in dettaglio: Antonio Veneziano (poeta).
Celia, Lib. 2
(~1575 - 1580)
Siciliano
Italiano
Non è xhiamma ordinaria, no, la mia
Non è fiamma ordinaria, non la mia
è xhiamma chi sul'iu tegnu e rizettu,
è una fiamma che sol'io tengo e rassetto,
xhiamma pura e celesti, ch'ardi 'n mia;
una fiamma pura e celeste che arde in me;
per gran misteriu e cu stupendu effettu.
per gran mistero e con stupendo effetto.
Amuri, 'ntentu a fari idulatria,
Amore, intento a fare idolatria,
s'ha novamenti sazerdoti elettu;
si è nuovamente a sacerdote eletto;
tu, sculpita 'ntra st'alma, sì la dia;
tu, scolpita dentro quest'anima, sei la dea;
sacrifiziu lu cori, ara stu pettu.
il mio cuore è il sacrificio, il mio petto è l'altare.
Altro di Antonio Veneziano
Siciliano
Italiano
«Omeru nun scrissi pi grecu chi fu grecu, o Orazziu pi latinu chi fu latinu? E siḍḍu Pitrarca chi fu tuscanu nun si piritau di scrìviri pi tuscanu, pirchì ju avissi a èssiri evitatu, chi sugnu sicilianu, di scrìviri pi sicilianu? Àju a fàrimi pappajaḍḍu di la lingua d'àutri?»
«Non scrisse Omero che fu greco in greco, o Orazio che fu latino in latino? E se Petrarca che fu toscano non si peritò di scrivere in toscano, perché dovrebbe essere impedito a me, che son siciliano di scrivere in siciliano? Dovrei farmi pappagallo della lingua d'altri?»
Estratto di Giovanni Meli
Don Chisciotti e Sanciu Panza (Cantu quintu)
(~1790)
Siciliano
Italiano
Stracanciatu di notti soli jiri;
travestito di notte suole andare
S'ammuccia ntra purtuni e cantuneri;
Si nasconde fra portoni e angoli di strade
cu vacabunni ci mustra piaciri;
con i vagabondi gli fa piacere stare;
poi lu so sbiu sunnu li sumeri;
poi il suo svago sono i somari
li pruteggi e li pigghia a ben vuliri,;
li protegge e li prende a ben volere
li tratta pri parenti e amici veri;
li tratta da parenti ed amici veri
siccomu ancura è n'amicu viraci
poiché è ancora un amico verace
di li bizzari, capricciusi e audaci.
di quelli bizzarri, capricciosi e audaci.
Estratto di Eco della Sicilia - Francesco Paolo Frontini
Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
Ruffino, 2001,30: «esistono tante rappresentazioni concrete di «siciliano» quante sono le varietà locali, varietà che presentano forti ed estese somiglianze, ma sono per molti aspetti profondamente differenti l'una dall'altra».
Cfr. Loporcaro, 2013,5: «I dialetti italiani sono dunque varietà italo-romanze indipendenti o, in altre parole, dialetti romanzi primari, categoria che si oppone a quella di 'dialetti secondari. Sono dialetti primari dell'italiano quelle varietà che con esso stanno in rapporto di subordinazione sociolinguistica e condividono con esso una medesima origine (latina)».
Gerhard Rohlfs, Studi su lingua e dialetti d'Italia, Sansoni, Firenze, 1972.
«Quello che distingue la Calabria meridionale dalla situazione linguistica in Sicilia è unicamente una altissima percentuale di grecismi, di fronte ai moltissimi arabismi della Sicilia. Per il resto si può dire che la Calabria meridionale linguisticamente [...] non è altro che un avamposto della Sicilia, un balcone della Sicilia»
Secondo il Bonner, studioso statunitense autore di una grammatica siciliana, il siciliano «non dovrebbe essere considerato un dialetto ma una vera e propria lingua, in quanto ha un suo proprio vocabolario, grammatica e sintassi, nonché una storia e influenze storiche diverse dall'italiano».
La "Carta europea per le lingua regionali minoritarie è stata approvata il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 1º marzo 1998. L'Italia ha firmato tale Carta il 27 giugno 2000 ma non l'ha ancora ratificata. In ogni caso, la carta non specifica quali lingue europee corrispondono al concetto di lingue regionali o minoritarie quali definite al suo articolo 1. In realtà, lo studio preliminare sulla situazione linguistica in Europa effettuato dalla Conferenza permanente dei poteri locali e regionali d'Europa ha condotto gli autori della carta a rinunciare ad allegarvi un elenco delle lingue regionali o minoritarie parlate in Europa. Malgrado la competenza dei suoi autori, un tale elenco sarebbe stato di certo ampiamente contestato per ragioni linguistiche, come pure per altre ragioni. Inoltre, rivestirebbe un interesse limitato poiché, almeno per quanto riguarda i provvedimenti specifici che figurano nella Parte III della carta, le Parti avranno un ampio potere discrezionale per stabilire le misure che si devono applicare ad ogni lingua. La carta presenta delle soluzioni appropriate per le varie situazioni delle diverse lingue regionali o minoritarie, ma non avanza giudizi sulla situazione specifica rispetto a dei casi concreti". Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, Consiglio d'Europa, Rapporto Esplicativo STE n. 148; traduzione non ufficiale.
Secondo il suo statuto, il CSFLS «si propone di promuovere gli studi sul siciliano antico e moderno, considerato in tutti i suoi aspetti e correlazioni, realizzando ogni iniziativa al detto fine attinente. Particolarmente si propone: a) la pubblicazione di una «Collezione di testi siciliani dei secoli XIV e XV»; b) la pubblicazione di un grande vocabolario delle parlate siciliane; c) la pubblicazione di collane e di ogni altra opera, in cui trovino organica sistemazione le attività di ricerca nel campo degli studi filologici e linguistici siciliani, programmate dal Consiglio direttivo; d) l'edizione di un «Bollettino» che, oltre ad illustrare i programmi e le attività del Centro, accolga studi filologici e linguistici riguardanti la Sicilia, nonché l'edizione di eventuali altre pubblicazioni periodiche dirette a illustrare i programmi e le attività del Centro».
Legge regionale n.9/2011, su csfls.it. URL consultato il 28 settembre 2016 (archiviato dall'url originale il 25 settembre 2016).
La legge nazionale 482/99 tutela «la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo», escludendo pertanto le parlate siciliane.
Un dettagliato resoconto dell'attività legislativa siciliana al riguardo fino al 1992 si trova in Ruffino, 1992,pp. 12-49 sulla legge regionale 9/2011, cfr. Ruffino, 2012.
Decreto presidenziale del 10 luglio 1951 n. 91/A «Modifica ai programmi delle scuole elementari della Regione Siciliana».
Legge regionale n. 85 del 6 maggio 1981 «Provvedimenti intesi a favorire lo studio del dialetto siciliano e delle lingue delle minoranze etniche nelle scuole dell'Isola».
Legge regionale n. 9 del 31 maggio 2011 «Norme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole».
Statuto del Comune di Bivona[collegamento interrotto], su comune.bivona.ag.it. URL consultato il 15 dicembre 2020. (PDF)
Statuto del Comune di Caltagirone (PDF), su win.comune.caltagirone.ct.it. URL consultato il 27 settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2014). (PDF)
La Face G., Il dialetto reggino – Tradizione e nuovo vocabolario, Iiriti, Reggio Calabria, 2006.
Avolio F., Lingue e dialetti d’Italia, Carocci, Roma, 2009.
«La Calabria appare solcata da una serie notevole di confini linguistici che distinguono i dialetti meridionali dal siciliano. Ricordiamo, a mo' di esempio: a) la vocale finale "-ë", che in genere non va oltre la linea Cetraro-Bisignano-Melissa; b) le assimilazioni dei nessi consonantici "-mb-" e "-nd-" ("quannu", quando, "chiummu", piombo), che non vanno a sud della linea Amantea-Crotone; c) l'uso di "tenere" per "avere" (non con il valore di ausiliare: "tène 'e spalle larghe"), diffusissimo dal Lazio in giù, ma già sconosciuto a Nicastro e Catanzaro (dove si dice "ndavi i spaddi larghi", o simili); d) l'uso del possessivo enclitico, nelle prime due persone, con molti nomi di parentela e affinità ("fìgghiuma", mio figlio, "fràttita", tuo fratello), che raggiunge la piana di Rosarno e la Locride, ma non lo stretto di Messina (dove si dice, alla siciliana, "mè figghiu", "tò frati")»
Varvaro A., «Sizilien», in «Italienisch, Korsisch, Sardisch», Max Niemeyer Verlag, Tubinga, 1988.
«Il fatto è che tutte le isoglosse che distinguono il siciliano dai dialetti meridionali si distribuiscono a varia altezza lungo la Calabria»
«Favoriti dalla conformazione geografica dell'isola, i dialetti siciliani sono abbastanza unitari, anche se le differenze che li distinguono non sono del tutto insignificanti. Tuttavia una propaggine siciliana esce dalla Sicilia per estendersi attraverso lo stretto di Messina nella Calabria meridionale, più o meno in connessione con la provincia di Reggio»
Varvaro A., «Sizilien», in «Italienisch, Korsisch, Sardisch», Max Niemeyer Verlag, Tubinga, 1988.
«Rispetto ad altre situazioni romanze, quella sic. è caratterizzata dalla facilità di identificare la delimitazione del dialetto con i limiti dell'isola (e delle isole minori). Questa convenzione attribuisce dunque un significato assai rilevante allo stretto di Messina, elevato a sede di un confine linguistico che a dire il vero non trova alcun riscontro nella realtà, in quanto i caratteri delle parlate delle due sponde sono del tutto analoghi, come lascia prevedere, a non dire altro, la frequenza dei contatti tra le due rive (fino ad epoca moderna assai più agevoli di quelli con molte località del montuoso e difficile territorio alle spalle di Messina)»
Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Storia di parole tra la Sicilia e Napoli (PDF), in Giovani Ruffino (a cura di), Bollettino, Palermo, 2012, pp.166-172, ISSN0577-277X(WC· ACNP) (archiviato il 12 dicembre 2019).
I gallo-italici sono anche detti "dialetti alto-italiani dell'isola", si veda per la definizione: Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Il Mulino, Bologna 2008,
Il sito della lingua siciliana, su linguasiciliana.it. URL consultato il 4 febbraio 2006 (archiviato dall'url originale il 4 settembre 2006).
Dizionario siciliano - italiano, su linguasiciliana.it. URL consultato il 15 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2010).
(EN) Sicilian - English Dictionary, su websters-online-dictionary.org. URL consultato il 4 dicembre 2004 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2008).
Arca dei SuoniArchiviato il 6 luglio 2011 in Internet Archive. Archivio audiovisivo on-line del CRICD - Centro Regionale per l'Inventario, la Catalogazione e la Documentazione dei Beni Culturali della Regione Siciliana
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