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Il dialetto tarantino[1] ('u tarandíne), o vernacolo o cataldiano[2] (così chiamato, a partire dal '900, in onore del santo patrono cittadino), è un dialetto parlato nella città di Taranto e, con significative differenze, in alcuni paesi della parte occidentale dell'omonima provincia. Esso possiede la particolarità di essere un idioma comunale, ovvero è parlato, nella sua forma più pura, esclusivamente entro i confini della città ed in provincia ha sviluppato alcune varianti, seppur abbastanza distaccate. Secondo lo studioso tarantino Domenico Ludovico de Vincentiis, procedendo a nord della città si avverte più influente l'inflessione del barese sui dialetti circostanti, mentre a sud si comincia a notare l'inflessione del salentino, in particolare del dialetto leccese;[3] questa osservazione fu fatta in precedenza anche da Giovanni Battista Gagliardo, che già nel 1811, riferendosi alla grande discontinuità dialettale nel suo territorio, affermava che "il dialetto è tutto affatto diverso dal resto degli altri Tarentini, un miscuglio di corrotte voci greche e latine".[4]

Voce principale: Dialetti della Puglia.
Tarantino
Tarandíne
Parlato in Italia
Regioni Puglia (esclusivamente nella città di Taranto)
Locutori
Totalecirca 200.000
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Meridionale intermedio/Meridionale estremo
    Tarantino
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1
Tutte le crestiáne nàscene libbere, parapatte 'ndegnetáte e iusse. Tènene 'a rascióne e 'a cuscènze, e s'honne a ccumburtà l'une pe ll'ôtre accume a ffráte.
Pubblicità in dialetto tarantino della Birra Raffo.

Storia


Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Taranto.

Il dialetto tarantino è una variante diatopica italo-romanza evolutasi, come tutte le altre varietà linguistiche romanze, dalla lingua latina, la quale si diffuse nell'area tarantina a partire dal 272 a.C., anno della conquista della città da parte dei Romani in seguito alle Guerre pirriche.[5] La specifica evoluzione del tarantino ha risentito dell'opera sia di sostrati precedenti la latinizzazione dell'area, sia di adstrati intervenuti nei secoli successivi.

Ad agire da sostrato fu soprattutto il greco parlato nella Taranto magnogreca: fondata, secondo la tradizione, nel 706 a.C. come colonia spartana (Τάρας), la città emerse come uno dei principali centri politici e culturali della Magna Grecia. Il sostrato greco ha lasciato un notevole influsso linguistico sul tarantino, sia dal punto di vista lessicale sia da quello morfo-sintattico; secondo gli studiosi, la varietà di greco parlata in quell'epoca a Taranto sarebbe stata ascrivibile al gruppo occidentale dei dialetti greci antichi e, più precisamente, mostrando evidenze ascrivibili al gruppo dorico o al laconico.[6][7] Questi influssi sono ancora oggi notabili in parole di origine greca.[8]

Con la romanizzazione dell'Apulia il latino soppiantò gradualmente gli idiomi di sostrato. Nel tarantino vi è la presenza di arcaicismi originatisi dal latino volgare e non riscontrabili nella lingua italiana,[9] nonché la circonlocuzione verbale con il verbo scére + gerundio (dal latino ire iendo), e l'affievolimento delle -i- atone. Le alterne vicissitudini susseguitesi a partire dalla dominazione romana non riuscirono però a far attecchire del tutto la lingua latina,[10] e il greco si continuò a parlare ininterrottamente fino all'arrivo dei Normanni e alla cosiddetta "latinizzazione", soprattutto nell'ambito dei riti religiosi.

Successivamente, sulla varietà tarantina di latino volgare iniziarono ad agire le lingue di adstrato che influenzarono la parlata vernacolare dell'area nel corso dei secoli. Durante il periodo bizantino e longobardo, l'idioma parlato a Taranto subì un processo di dittongazione, con l'esito delle /o/ in /ue/[11] e delle /e/ in /ie/[11] (esito condizionato dalla presenza nella sillaba finale di /i/ o /u/[12][13][14]) ed il vocabolario si arricchì di nuovi termini di origine longobarda.[15][16]

Nel IX secolo la città venne temporaneamente dominata dai saraceni con la conseguente introduzione di vocaboli provenienti dalla lingua araba.[17]

Con l'arrivo dei Normanni nel 1071 e degli Angioini nel 1266, la lingua tarantina perse buona parte dei suoi tratti orientali e venne influenzata da elementi gallo-romanzi (francoprovenzali)[18] e gallo-italici. Nel XV secolo Taranto cadde sotto il dominio della Corona d'Aragona, attraverso della quale vi giunsero alcuni prestiti linguistici ibero-romanzi.[19] A partire dalla prima metà del XVI secolo, il volgare toscano, ossia, l'italiano standard, (presente già da tempo in contesti letterari, di studio e relativi alla cancelleria, insieme al latino),[20][21] come nel resto del Regno di Napoli, sostituì definitivamente in latino in qualità di lingua ufficiale dell'amministrazione.[22][23]

Dal 1801 la città fu per breve tempo sotto il dominio delle truppe napoleoniche, le quali vi introdussero ulteriori vocaboli ascrivibili all'area gallo-romanza.

È da ricordare che Taranto ha fatto parte del Regno di Napoli, il che spiegherebbe alcuni termini in comune con il dialetto propriamente napoletano.[24]

Con l'Unità d'Italia la città assume un importante ruolo navale, soprattutto grazie al suo Arsenale militare. Il sopraggiungere di militari da ogni parte d'Italia rende la popolazione sempre più eterogenea con nuove influenze nella parlata.[24] Con l'avvento del boom industriale degli anni '60 la città inizia ad accogliere altri lavoratori provenienti da varie area pugliesi e non, con la conseguente e definitiva perdita dell'impronta più tipicamente salentina che il dialetto ha avuto fino agli inizi del XX secolo.[25]


Classificazione


Negli ultimi due secoli, il dialetto tarantino è stato oggetto di continui studi, non solo per capirne la complessità fonetica e morfologica, ma soprattutto per riuscire a dargli una collocazione definiva in mezzo agli innumerevoli dialetti meridionali. Il dilemma è sempre stato se fosse stato più opportuno classificarlo quale dialetto pugliese del gruppo alto-meridionale (o "napoletano") o del sottogruppo salentino di quello estremo-meridionale (o "siciliano").

Il primo a notare una notevole divergenza fonetica con gli altri dialetti dell'area salentina fu Michele De Noto che, nel suo saggio Appunti di fonetica del dialetto di Taranto, getta le prime basi per lo studio del vocalismo e del consonantismo dialettale. Anche Rosa Anna Greco, nel suo contributo Ricerca sul verbo nel dialetto tarentino, affronta apertamente la tematica dialettale tarantina, cercando di dimostrare l'appartenenza all'area linguistica alto-meridionale. Greco nota come nel tarantino, oltre alla metafonia e al dittongamento condizionato, vi sia anche un turbamento delle vocali toniche in sillaba libera: 'nzóre (sposo), próche (seppellisco), náte (nuoto) e la pronuncia indistinta delle vocali atone (scevà), cosa che manca nell'area brindisina e in quelle adiacenti[26].

Un paio di anni dopo, Giovan Battista Mancarella scrive Nuovi contributi per la storia della lingua a Taranto, dove appoggia la tesi di Greco. Tramite inchieste e sondaggi, egli elenca tutta una serie di particolarità tipiche delle parlate pugliesi alto-meridionali:

Per la morfologia verbale, si vanno confermando alcune oscillazioni tipiche dell'area linguistica in questione, come gli infiniti apocopati, le doppie desinenze per l'indicativo imperfetto ed il perfetto e le desinenze -àmme e -èmme[27].

Ma Mancarella offre anche un'ampia serie di particolarità che potrebbero far rientrare il tarantino tra i dialetti salentini:

Successivamente è Giacinto Peluso a voler risollevare la questione di appartenenza del dialetto tarantino all'area pugliese dei dialetti meridionali. In Ajère e ôsce - Alle radici del dialetto tarantino, conferma le ricerche effettuate da Greco e da Mancarella con altri punti di contatto tra il tarantino e il pugliese:

A sostenere invece la tesi secondo la quale in dialetto tarantino appartenga all'area salentina, sono soprattutto gli studiosi Heinrich Lausberg e Gerhard Rohlfs. Lausberg nota una concordanza tra il tarantino e il brindisino nell'esito fonetico che accomuna i continuatori e ed o stretti e aperti, confluiti sempre in suono aperto (cuèdde, strètte, pònde); esito caratteristico, tuttavia, anche di dialetti appartenenti sicuramente all'area pugliese come l'altamurano o il materano. Rohlfs mette in evidenza invece l'uso della congiunzione cu + presente indicativo per tradurre l'infinito ed il congiuntivo, costrutto tipico dei dialetti salentini.

Predominanza dell'influenza della lingua greca nel dialetto tarantino secondo il Vocabolario dei dialetti salentini di Gerhard Rohlfs.
Predominanza dell'influenza della lingua greca nel dialetto tarantino secondo il Vocabolario dei dialetti salentini di Gerhard Rohlfs.

Nel Vocabolario dei dialetti salentini di Rohlfs si contano più di tredicimila voci latine, oltre ventiquattromila greche e circa trecentoquaranta tra spagnole, portoghesi, catalane, franco-provenzali, celtiche, còrse, germaniche, inglesi, turche, albanesi, dalmate, serbo-croate, rumene, ebraiche, berbere ed arabe.

Oltre ad alcune similitudini morfo-sintattiche con i dialetti salentini, il tarantino vanta anche numerosissimi vocaboli in comune col Salento, tanto da farlo includere da Rohlfs nel suo Vocabolario dei dialetti salentini. Tuttavia, le divergenze fonetiche con i dialetti salentini nonché il numero elevato di vocaboli e particolarità che sono originali tarantine, fanno vacillare questa tesi, mettendo in difficoltà gli studiosi.

[[[Aiuto:Chiarezza|]]]. Un tipico costrutto ereditato è costituito da un particolare tipo di periodo ipotetico, dove la costruzione italiana "se avessi, ti darei" è resa in tarantino con la forma greca "ce avéve, te dáve"[29]. Altro grecismo puro è la perdita dell'infinito dopo i verbi che esprimono un desiderio o un ordine: vogghie cu vvóche (voglio andare, lett. voglio che vado), o un ordine: dille cu accàtte (digli di comprare)[30]. Anche in ambito fonetico i residui del sostrato greco sono ben visibili:

Gli studiosi che si cimentano con lo studio del dialetto tarantino, non possono non tener conto di questi importantissimi dati, che escluderebbero a priori la possibile appartenenza al gruppo "napoletano" dei dialetti pugliesi. Oggi il dibattito sulla classificazione di questo dialetto è ancora aperto, e studiosi e linguisti continuano a discutere sulla sua filogenesi.


Fonologia



Vocali


Oltre alle tipiche cinque vocali dell'italiano a e i o u, il dialetto tarantino ne conta anche altre cinque: é ed ó sono vocali chiuse, la á che ha un suono particolarmente chiuso, quasi semimuto, ed í e ú chiamate "vocali dure", poiché vengono pronunciate con una notevole vibrazione delle corde vocali; le vocali con accento acuto sono tutte lunghe ed hanno valore doppio rispetto a quelle italiane. Vi sono anche le vocali aperte è e ò (sempre brevi)[31] e le con accento circonflesso â ê î ô û[31] usate spesso (specie nel caso di ô) per segnalare la contrazione di una vocale con una consonante o un'altra vocale:

Esiste inoltre un'altra vocale, la e muta (foneticamente equivalente allo scevà ə), la quale è sempre mutola in fine di parola e quasi sempre semimuta in posizione protonica[32]: una parola come perebìsse, quindi, andrà pronunciata come [pərəbìssə]. Nel caso in cui la parola con e muta in fine di parola formi un nesso sintattico con la parola successiva, la vocale si sonorizza: marànge → maràngia pònde (arancia punta, guasta)[33]. I dittonghi sono pronunciati come in italiano, tranne che per ie che vale come una i lunga se si trova nel corpo di una parola, mentre se posta alla fine andrà pronunciata come una i molto veloce seguita da una e semimuta.


Consonanti


Le consonanti sono le stesse dell'italiano, con sole cinque aggiunte: c se si trova in posizione postonica tende ad essere pronunciata come sc in sciocco (es. dôce [do:ʃə], fáce [fɐ:ʃə], ecc.), -j suffissale pronunciata come la y della parola inglese yellow, il nesso sck dove sc è pronunciato come nella parola italiana scena, la k come la c di casa, il nesso ije pronunciato più o meno come ille nella parola francese bouteille, e la v in posizione intervocalica che non ha alcun suono (es: avuandáre, tuve, ecc.). Le consonanti doppie sono molto frequenti in principio di parola[31] ed in posizione protonica.[34]


La dieresi


A causa del grande numero di omofoni presenti nel dialetto tarantino, a volte si è costretti a distinguerli per mezzo di un accento o di una dieresi[31]; quest'ultima viene adoperata soprattutto per indicare lo iato fra due consonanti, ad esempio:


Apocope e aferesi


L'apocope (la caduta di una vocale o di una sillaba in fine di parola), se riguarda le forme verbali, va segnalato mettendo l'apposito accento tonico; l'aferesi (la caduta di una vocale o di una sillaba in principio di parola) in tarantino va segnato mediante un apostrofo:


Dissimilazione e assimilazione


La dissimilazione è un fenomeno per il quale due suoni, trovandosi a stretto contatto, tendono a differenziarsi:

L'assimilazione si ha quando la consonante iniziale di una parola si muta nella consonante della seconda sillaba della parola stessa, in seguito ad un'anticipazione dell'articolazione fonetica di quest'ultima:


Geminazione


Una particolarità che salta subito all'occhio di chi per la prima volta si trova a leggere un testo in dialetto tarantino, è il fenomeno della geminazione, o più semplicemente raddoppiamento iniziale o sintattico. Esso è un fenomeno di fonosintassi, ossia, a causa della perdita della consonante finale di alcuni monosillabi (assimilazione fonosintattica), la consonante iniziale della parola che segue viene rafforzata.

I principali monosillabi che danno luogo alla geminazione sono:

Il raddoppiamento iniziale è indispensabile nella lingua orale per capire il significato della frase:

Come si vede dall'esempio, il rafforzamento della f si rivela fondamentale per il senso dell'affermazione. Ecco altri esempi:


Grammatica



Morfologia



Articoli e sostantivi

Il Vocabolario del dialetto tarantino di Domenico Ludovico de Vincentiis, magistrale opera del 1872, è oggi uno dei principali punti di riferimento per lo studio dell'evoluzione del vernacolo tarantino nell'ultimo secolo.
Il Vocabolario del dialetto tarantino di Domenico Ludovico de Vincentiis, magistrale opera del 1872, è oggi uno dei principali punti di riferimento per lo studio dell'evoluzione del vernacolo tarantino nell'ultimo secolo.

Il dialetto tarantino ha due generi, maschile e femminile. Avendo la terminazione in e muta, il genere delle parole è riconoscibile solamente tramite l'articolo, che in tarantino è 'u, 'a, le per il determinativo, e 'nu, 'na per l'indeterminativo.

Se il sostantivo che segue l'articolo comincia con una vocale, questo si apostrofa, a meno che esso non abbia una consonante iniziale precedentemente caduta:


Plurale e femminile

La formazione del plurale è assai complessa. Per molti sostantivi ed aggettivi esso non esiste, ossia rimangono invariati:

Alcuni aggiungono il suffisso -ere:

Altri cambiano la vocale tematica:

Altri ancora tutti e due:

In ultimo vi sono i plurali irregolari:

o sostantivi con doppia formazione:

La formazione del femminile segue le stesse regole. Alcuni sostantivi e aggettivi rimangono invariati:

Altri cambiano il dittongo in o:


Pronomi

I pronomi dimostrativi sono:

Più usate nel parlato sono le forme abbreviate: 'stu per quiste, 'sta per quèste, 'ste per chiste.

I pronomi personali sono:

persona soggetto atono tonico riflessivo
1a singolareìe[39]me[40]méie[40]me[40]
2a singolaretúne[41]te[42]téie[43]/téve[44]te[42]
3a singolare maschileiìdde[39]le[45]iìdde[39]se[46]
3a singolare femminileièdde[39]le[45]jèdde[39]se[46]
1a pluralenùie/nu'[47]ne[48]nùie/nu'[47]ne[48]
2a pluralevùie/vù[49]ve[50]vùie/vù[49]ve[50]
3a plurale indistintolóre[51]le[45]lóre[51]se[46]
impersonalese[46]----se[46]

Se la forma dativa del pronome soggetto è seguita da un pronome oggetto, a differenza dell'italiano, la forma dativa si omette lasciando posto solo per il pronome oggetto:

Volendo si può specificare il soggetto mediante l'aggiunta di un pronone personale:

Per la "forma di cortesia", il tarantino adopera la forma allocutiva che, come avveniva a Roma, dà del tu a tutti indistintamente. Se proprio si vuole esprimere rispetto nei riguardi dell'interlocutore, si aggiunge l'aggettivo ussignorìe (deriv. di vu ssignorije), lasciando però sempre il verbo alla seconda persona singolare:

Quando il pronome riflessivo della prima persona plurale è seguito da pronome oggetto (in italiano reso con ce) e si trova alla forma negativa, esso diviene no 'nge in dialetto tarantino:

I pronomi relativi sono:

Per esempio:


Aggettivi

Gli aggettivi possessivi sono:

persona maschile singolare femminile singolare plurale indistinto forma enclitica
1a singolaremíe[55]méie[40]míje[55]-me[40]
2a singolaretúie[56], túve[57]tóie[58], tóve[59]túje[56], túve[57]-te[42]
3a singolaresúve[60]sóve[61]súve[60]-se[46]
1a pluralenuèstre[47]nòstre[37]nuèstre[47]-
2a pluralevuèstre[62]vòstre[37]vuèstre[62]-
3a pluralelòre[51]lòre[51]lòre[51]-se[46]

In dialetto tarantino l'aggettivo possessivo va sempre posto dopo il nome al quale si riferisce[63]:

Altra caratteristica di questo dialetto è anche la forma enclitica del possessivo tramite suffissi, che però è limitata solamente alle persone:

e via di seguito.


Preposizioni

Le preposizioni semplici sono:

Possono fare anche da preposizioni:

Le preposizioni articolate sono:

  'u 'a le
de de 'u (d'u)de 'a (d'a)de le
a a 'u (ô)a 'a (â)a lle
da da ô (d'ô)da 'a (d'â)da le
iìndre (cfr. lat. intra) iìndre ô (iìndr'ô)iìndre a (iìndr'a)iìndre le, iìndre a (iìndr'a) lle
cu cu 'u (c'u)cu 'a (c'a)cu lle
suse suse ô (sus'ô)suse a (sus'a)suse le, suse a (sus'a) lle
pe pe 'u (p'u)pe 'a (p'a)pe lle

ca e cu

ca (lat. quia) può avere valore di:

Cu (lat. quod) può avere valore di:

Il partitivo in tarantino non esiste, e per tradurlo vengono adoperate due forme[63]:

Per esempio:


Accusativo e vocativo


Dei vecchi casi grammaticali, il dialetto tarantino ha mantenuto nella sua forma moderna soltanto l'accusativo e il vocativo. Come per altre lingue dell'area mediterranea, l'accusativo in tarantino viene segnalato mediante l'intercalare della preposizione a solo se si tratta di persone[66]:

Il caso vocativo, in linea con molti dialetti meridionali, è probabilmente il più utilizzato dal tarantino. Esso può affliggere ogni parte del discorso, nomi, aggettivi e avverbi. Il vocativo si forma apocopando la parola all'ultima sillaba tonica:

In dialetto tarantino, il vocativo viene utilizzato sia per esprimere il complemento di vocazione sia per enfatizzare una parte del discorso o per esprimere uno stato d'animo di impazienza o di irritazione:

Hé sciute, pò, ô cìneme Frangè? Alla fine sei andato al cinema, Francesco?

None Marì Non ancora, Maria.

Angó? E mé, quanne ha a scè? Ancora? (esprime incredulità) Suvvia (esortazione), quando ci andrai?

In base al grado di impazienza o di esortazione che si vuole esprimere, talvolta è possibile retrocedere le sillabe da apocopare:


Verbi


Il Corriere del Giorno di Puglia e Lucania (di cui qui una pagina datata martedì, 22 dicembre 1993) soleva dedicare occasionalmente spazi al dialetto tarantino e ai modi di dire, proverbi, tradizioni, vecchi giochi e antichi mestieri della città di Taranto.
Il Corriere del Giorno di Puglia e Lucania (di cui qui una pagina datata martedì, 22 dicembre 1993) soleva dedicare occasionalmente spazi al dialetto tarantino e ai modi di dire, proverbi, tradizioni, vecchi giochi e antichi mestieri della città di Taranto.

Il sistema verbale tarantino è molto complesso e differente da quello italiano.

I verbi principali e le loro declinazioni all'indicativo presente sono:

Caratteristica tipica è l'uso frequente della prostesi della vocale -a-, che porta ad una doppia forma verbale[63][67]:

Vi è anche la presenza del suffisso incoativo -èsce derivato dall'antico -ire[68]:

È molto diffusa l'alternanza vocalica tra i verbi della prima coniugazione, dovuto alla metafonia. Essi sono soggetti al dittongamento dell'ultima vocale tematica (-o- in -ué-). Per esempio[68][69]:

I verbi della seconda coniugazione, esitano la o in u[69]:

I verbi servili


Coniugazioni

Il tarantino ha due coniugazioni, una in -are, la più ricca, ed una in -ere (derivante dalla latina -ire).[63]


Modo infinito

L'infinito dei verbi è reso, specialmente nel parlato informale, mediante l'apocope delle forme cosiddette "da dizionario":

In tarantino l'infinito viene perso dopo verbi di desiderio o di ordine, essendo sostituito da cu seguito dall'indicativo presente[64]


Modo indicativo

Le desinenze per formare l'indicativo presente sono le seguenti[68]:

A differenza degli altri dialetti pugliesi, nel tarantino non compare la desinenza -che per le prime persone. Questa desinenza è usata però per i verbi monosillabici:

Il presente continuato in tarantino si forma con l'indicativo presente del verbo stare + preposizione a + indicativo presente del verbo[70]:

Fanno eccezione a questa regola la seconda e la terza persona singolare, le quali non richiedono l'uso della preposizione a:

Nell'imperfetto troviamo le seguenti desinenze[68]:

Per il tempo perfetto le desinenze sono[70]:

In dialetto tarantino non esiste una forma univerbale di futuro, che perciò viene spesso sostituito dal presente indicativo oppure viene espresso mediante la perifrasi futurale derivata dal latino habeo ab/de + infinito, caratteristica questa che è comune ad altre lingue, tra cui la lingua sarda:

Questo costrutto è usato anche per esprimere il senso di necessità:


Modo congiuntivo

Il congiuntivo presente ha tutta una sua forma particolare, tipica poi dei dialetti salentini; si rende con la congiunzione cu seguita dal presente indicativo[64][65]:

Al contrario, il congiuntivo imperfetto ha delle desinenze proprie[70]:


Modo condizionale

Altro tempo verbale inesistente è il condizionale, sostituito dall'imperfetto indicativo o dall'imperfetto del congiuntivo[70]:


Modo imperativo

L' imperativo è generalmente uguale alla corrispondente persona dell'indicativo presente[70]:

La formazione dell'imperativo negativo è già più complicata: si ottiene mediante la circonlocuzione verbale con scére + gerundio (dal latino ire iendo)[70]:


Modo gerundio

Il gerundio si ottiene aggiungendo la desinenza -ànne per i verbi del primo gruppo, e -ènne per i verbi del secondo:

A volte per tradurre il gerundio si fa ricorso ad una preposizione relativa:


Modo participio

Il participio passato è formato con l'aggiunta del suffisso -áte per i verbi appartenenti al primo gruppo, e del suffisso -úte per i verbi appartenenti al secondo. Tuttavia vi sono anche participi passati uscenti in -ste, di derivazione latina[70]:


Essere[71]

persona Indicativo presente Imperfetto Perfetto Congiuntivo presente Congiuntivo imperfetto
Ijesonghe/so'érefuévecu ssìefòsse
Tune/Tusinde/si'ìrefuìstecu ssíjefuèsse
Jidde, Jéddejè, éte[72]ére, jéve[73]fu'cu ssìjefòsse
Nujesímeèremefuèmmecu símefòsseme
Vujesíteírevefuéstevecu ssítefuésseve
Lóresonde/so'èrene, jèvene[73]fùrenecu ssíenefòssere

Avere[74]

persona Indicativo presente Imperfetto Perfetto Congiuntivo presente Congiuntivo imperfetto
Ijehagghieavéveavìbbecu hagghieavìsse
Tune/Tuavíveavìstecu hagghieavìsse
Jidde, Jèddeha/haveavéveavícu hagghieavèsse
Nujeameavèvemeavèmmecu avìmeavìsseme
Vujeavíteavìveveavìstevecu avíteavìsseve
Lórehonne/avene[72]avèveneavèrenecu honneavèssere

Variazioni ortografiche


Non avendo una regolamentazione ufficiale prima della pubblicazione del Dizionario della Parlata Tarantina, il vernacolo tarantino presenta alcune variazioni ortografiche riscontrabili per lo più in autori di vecchia data. Le più note sono l'uso di ij al posto del dittongo lungo ie (arrajamiende > arrajamijnde, niende > nijnde, ecc.), come hanno adoperato autori come Tommaso Gentile, Gigi Vellucci e Claudio De Cuia, la coniugazione del verbo avere senza h (hagghie > agghie) tuttavia da considerarsi errata poiché tale coniugazione deriva direttamente dalla forma latina habeo e quindi necessita di h altresì per distinguere la prima persona singolare da agghie (aglio), l'uso esclusivo dell'accento grave (errore probabilmente attribuito ad un fattore di comodità tipografica), l'uso più o meno ampio dell'accento circonflesso per indicare la contrazione vocalica, le segnalazioni di apocopi e aferesi (totalmente assenti in autori come il Gentile, mentre in autori come Cosimo Acquaviva vengono ancora adoperate le forme non apocopate degli articoli determinativi lu e la) e la mancata sonorizzazione delle occlusive nasalizzate (tali mancanze sono dovute al fatto che il dialetto di Taranto, prima della massiccia industrializzazione e quindi del crescere della sua popolazione grazie ai flussi migratori di lavoratori, presentava una sonorità molto più vicina ai dialetti salentini di quanto non lo sia oggi).


Esempi


'U 'Mbiérne de Dande (Claudio De Cuia)[75]

Mmìnze o camíne nuéstre de sta víte
ie me cchiéve ìndre a nu vòsche scúre
ca a drétta vìe addáne avè sparíte.

Ma ci l'hadde a cundà le delúre
de stu vosche sarvagge e a strada stòrte
ca indre o penzìre me crésce a pavùre.

Ma è ttande amáre ca è pêsce de a morte;
ma pe ccundà u bbéne ca truvéve,
agghie a pparlà de quèdda mala sòrte.

Iì mo n'o sàcce accume è ca m'acchiéve,
tande assunnàte stàve a quédda vanne
ca a via veràce te scé bbandunéve.

Doppe che avéve arrevàte tremelànne
già ngocchie a lle fenéte de sta chiàne,
che angòre ô côre dè mattáne e affanne,

vedíve u cìle tutte a mmàne a mmàne
ca s'ammandàve de a luce de u sole
ca nzignalésce a strade a ogne crestiáne...

Inferno - Canto I (Dante Alighieri)

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle...

'U 'càndeche de le crijatúre de San Frangísche (Enrico Vetrò)[76]

Altísseme, ’Neputènde, Signóre bbuéne,
Túie so’ le làude, ’a glorie e ll’anóre e ogne bbenedizzióne.

A Tté súle, Altísseme, Te tòcchene,
e nisciúne ómme éte dègne de Te menduváre.

Lavudáte sie, Signóre mie, apprísse a ttutte le criatúre Tóve,
spéče frátema mie mèstre sóle,
ca ié llúče d’u ggiúrne, e ne allumenìsce a nnúie cu iìdde.

E iìdde é bbèlle e allucèsce cu sblennóre granne,
de Téie, Altísseme, annùče ’u valóre.

Lavudáte sìe, Signóre mìe, pe ssòrem’a lúne e le stèdde:
’en gíele l’hé criáte lucénde, sobraffíne e valènde, e bbèdde.

Lavudáte sìe, Signóre mìe, pe ffráteme u víende,
e ppe’ ll’àrie, le nùvele, ’u chiaríme e ogne ttìembe,
ca cu chìdde a lle criatúre Tóve le fáče refiatà.

Lavudáte sìe, Signóre mìe, pe ssòreme l’acque,
ca ié ùtele asséie, terragnóle, prizziósa e cchiáre.

Lavudáte sìe, Signóre mìe, pe ffráteme u fuéche,
ca cu jìdde allumenìsce ’a nòtte:
e iidde è bbèlle, allègre, pastecchíne e ffòrte.

Lavudáte sìe, Signóre mìe, p’a sóra nòstra màtra tèrre,
ca ne mandéne e ne énghie a vèndre,
e ccàcce numúnne de frùtte e ppúre fiúre d’ogne cculóre e ll’èrve.

Lavudáte sije, Signóre mije, pe’ cchidde ca perdònene p’amóre Túve
E ssuppòrtene malatíje e ttrìbbule.

Vijáte a cchìdde ca l’honna ssuppurtà cu rrassignazzióne,
ca da Téie, Altísseme, honn’essere ’ngurunáte.

Lavudáte sie, Signóre mie, pe 'a sóra nostra morta d’u cuèrpe
ca da ièdde nisciúne omme ca refiáte pote scambá:
uàie a cchìdde c’honne a murè iìnde a le puccáte murtále;
viáte a cchìdde ca iedde à dda truvà iinde a Vulundà tòie Sandísseme,
ca a llóre ’a secònna mòrte no ’nge l’hàdde a fà mále.

Lavedáte e bbenedecíte u Signóre mie e decítenge gràzie
e sservítele cu grànna devuzzióne.

Cantico delle creature (Francesco d'Assisi)

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mì Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumeni noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mì Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mì Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mì Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato sì mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate..


Note


  1. Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  2. Roberto Nistri, Scritture joniche di fine secolo, Scorpione Editrice, Taranto, 2005.
  3. Domenico Ludovico de Vincentiis, 1872, pag. 8.
  4. Giovanni Battista Gagliardo, Descrizione topografica di Taranto, Napoli, presso Angelo Trani, 1811, pag. 19
  5. Enciclopedia Treccani: Dialetti meridionali., su treccani.it.
  6. Pierre Wuilleumier, Taranto, Dalle Origini alla Conquista Romana. Traduzione dal francese di Giuseppe Ettorre, 1987, pp. 657-659, Mandese Editore, Taranto.
  7. Nicola Gentile, Dizionario della parlata tarantina, pag. 10.
  8. Ad esempio celóne (tartaruga) da χελώνη (Nicola Gigante, 2002, pag. 262), cèndre (chiodo) da κέντρον (ibidem, pag. 263), ceráse (ciliegia) da κεράσιον (ibidem, pag. 265), àpule (morbido) da απαλός (ibidem, pag. 130).
  9. Ad esempio descetáre (svegliare) da oscitare (Nicola Gigante, 2002, pag. 342), gramáre (lamentarsi) da clamare (ibidem, pag. 411), 'mbise (malvagio) da impensa (ibidem, pag. 493), sdevacáre (svuotare) da exdevacuare (ibidem, pag. 774), aláre (sbadigliare) da halare (ibidem, pag. 99), tràscene (tipo di pesce) da trachinus (ibidem, pag. 864).
  10. Domenico Ludovico de Vincentiis, 1872, pag. 6.
  11. Walther von Wartburg, Die Entstehung der romanischen Völker, Tübingen, 1951.
  12. AA.VV., L'Italia linguistica odierna e le invasioni barbariche in "Rendiconti Cl. di Sc. Mor. e st. della Regia Accademia d'Italia" (7.3 pp. 63-72 e ss.), 1941.
  13. Benvenuto Aronne Terracini, Italia dialettale di ieri e di oggi, Torino, 1958.
  14. Giuliano Bonfante, Latini e Germani in Italia (pp.50-51), Brescia, 1965.
  15. Ad esempio shkife (imbarcazione) da skif (Nicola Gigante, 2002, pag. 746), gualáne (bifolco) da wald + -anus (ibidem, pag. 417) e chiaràzze (pianta di campo) da waratja (ibidem, pag. 274).
  16. R. Colizzi, Alcuni vocaboli di origine longobarda nei dialetti salentini, in Cenacolo, IX X, 1979-80, p. 28.
  17. Ad esempio chiaúte (bara) da tabut (Nicola Gigante, 2002, pag. 277) e masckaráte (risata) da mascharat (D. Marturano, 'A masckarate, 1971)
  18. Ad esempio fesciùdde (coprispalle) da fichu (Nicola Gigante, 2002, pag. 374), accattáre (comprare) da achater (ibidem, pag. 67), pote (tasca) da poche (ibidem, pag. 650).
  19. Ad esempio marànge (arancia) da naranja (Nicola Gigante, 2002, pag. 472) e suste (tedio) da susto (ibidem, pag. 841).
  20. Documentazioni linguistiche da: Storia della città e del Regno di Napoli, su books.google.it.
  21. Università Statale di MilanoProfilo di storia linguistica italiana. Norma ed espansione dell'italiano. (PDF), su italiansky.narod.ru.
  22. Enciclopedia Treccani: Storia della lingua italiana e del suo utilizzo negli Stati preunitari., su treccani.it.
  23. Università degli Studi di Milano: Storia della lingua italiana. Il primo Cinquecento., su docsity.com.
  24. Nicola Gigante, Dizionario della parlata tarantina, Taranto, 2002, p. 15.
  25. Domenico Ludovico de Vincentiis, Vocabolario del dialetto tarantino, Taranto, 1872.
  26. Rosa Anna Greco, Ricerche sul verbo nel dialetto tarentino, in Studi linguistici salentini, VI, 1973-74, pp. 69-78.
  27. Giovan Battista Mancarella, Nuovi contributi per la storia della lingua a Taranto, in Studi in memoria di P. Adiuto Putignani, 1975, p. 159-176.
  28. G.B. Mancarella, Distinzioni e modifiche nel Salento, Bari, 1981, p.48.
  29. Nicola Gigante, Dizionario della parlata tarantina, Taranto, 2002, p. 11.
  30. G. Rohlfs, La perdita dell'infinito nelle lingue balcaniche e nell'Italia meridionale, in Omagiu lui Jordan, 1958, pp. 733-744.
  31. Claudio Di Cuia, Vocali e consonanti nel dialetto tarantino, Mandese, Taranto, 2003.
  32. Nicola Gigante, 2002, pag. 20.
  33. Nicola Gigante, 2002, pag. 19, nota 20.
  34. Nicola Gigante, 2002, pag. 22.
  35. Nicola Gigante, 2002, pag. 674.
  36. Nicola Gigante, 2002, pag. 281.
  37. Domenico Ludovico de Vincentiis, 1879, pag. 14.
  38. Nicola Gigante, 2002, pag. 279.
  39. Nicola Gigante, 2002, pag. 424.
  40. Nicola Gigante, 2002, pag. 499.
  41. Nicola Gigante, 2002, pagg. 881-82.
  42. Nicola Gigante, 2002, pag. 852.
  43. Nicola Gigante, 2002, pag. 853.
  44. Nicola Gigante, 2002, pag. 860.
  45. Nicola Gigante, 2002, pag. 440.
  46. Nicola Gigante, 2002, pag. 775.
  47. Nicola Gigante, 2002, pag. 575.
  48. Nicola Gigante, 2002, pag. 549.
  49. Nicola Gigante, 2002, pag. 927.
  50. Nicola Gigante, 2002, pag. 907.
  51. Nicola Gigante, 2002, pag. 452.
  52. Nicola Gigante, 2002, pag. 283.
  53. Nicola Gigante, 2002, pag. 258.
  54. Nicola Gigante, 2002, pag. 195.
  55. Nicola Gigante, 2002, pag. 511.
  56. Nicola Gigante, 2002, pag. 880.
  57. Nicola Gigante, 2002, pag. 885.
  58. Nicola Gigante, 2002, pag. 862.
  59. Nicola Gigante, 2002, pag. 863.
  60. Nicola Gigante, 2002, pag. 843.
  61. Nicola Gigante, 2002, pag. 794.
  62. Nicola Gigante, 2002, pag. 926.
  63. Nicola Gigante, 2002, pag. 30.
  64. Nicola Gigante, 2002, pag. 11.
  65. Nicola Gigante, 2002, pag. 305.
  66. Claudio De Cuia, Vocali e consonanti nel dialetto tarantino ed elementi di grammatica, Mandese Editore, 2003, pag.59.
  67. R.A. Greco, Ricerche sul verbo nel dialetto tarantino, in Rivisti di Studi linguistici salentini, vol. 6, 1973-74, p. 71.
  68. Nicola Gigante, 2002, pag. 31.
  69. Nicola Gigante, 2002, pag. 33.
  70. Nicola Gigante, 2002, pag. 32.
  71. Nicola Gigante, 2002, pag. 352.
  72. Domenico Ludovico de Vincentiis, 1872, pag. 23.
  73. Tommaso Gentile, Nu stuezze di viremijnze, 1930.
  74. Nicola Gigante, 2002, pag. 164.
  75. Claudio De Cuia, U Mbiérne de Dande, Editrice Tarentum, Taranto, 1976.
  76. Enrico Vetrò, Il dialetto Tarantino: una favola ancestrale (PDF), su aristosseno2.altervista.org.

Bibliografia



Voci correlate



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[en] Tarantino dialect

Tarantino (/ˌtærənˈtiːnoʊ/; Tarantino: dialètte tarandíne [taranˈdiːnə]; Italian: dialetto tarantino), spoken in the southeastern Italian region of Apulia, is a transitional language, most of whose speakers live in the Apulian city of Taranto. The dialect is also spoken by a few Italian immigrants in the United States, especially in California.

[es] Dialecto tarentino

El dialecto tarentino es un dialecto del grupo napolitano o italiano meridional hablado en la ciudad italiana de Tarento. En la parte noroccidental de la homónima provincia está presente en sus variantes massafrese, crispianese, etc. Posee la particularidad de ser un idioma comunal, o bien, su variante más genuina se habla dentro de los confines de la ciudad, principalmente en el centro histórico. No obstante, también aquí, con las distintas diferenciaciones comunicativas debidas a los cambios generacionales. De hecho, aunque Tarento limita con otras provincias de la Puglia, en el habla tarentina no se encuentran similitudes con el dialecto salentino o el dialecto barés en el acento, ni en la pronunciación, ni en los artículos de estos últimos.

[fr] Tarentin

Le tarentin (tarandine) est une langue parlée dans la province de Tarente, en Italie, notamment à Tarente et dans ses alentours. Sa classification linguistique suscite controverse, étant donné la situation géographique de la province de Tarente, on tend à le classer parmi les dialectes apuliens-salentins voire du salentin mais le tarentin est une langue totalement distincte des dialectes italiens méridionaux extrêmes et fait partie des dialectes italo-romans de type méridional[1]. Par ailleurs, il existe un dialecte dénommé tarentin méridional qui est parlé dans la partie sud de la province de Tarente. Ce dialecte est, quant à lui, une variante du système linguistique sicilien. La spécificité du tarentin tient en la richesse de son vocabulaire. En effet, le vocabulaire tarentin est influencé tant par le latin et le grec que par le castillan, le portugais, les langues berbères, l'arabe, le turc, le catalan, le roumain, l'albanais, le provençal, le dalmate, le serbe, le corse, l'anglais, le celtique, l'allemand et l'hébreu comme l'a démontré le linguiste Gerhard Rohlfs[2].
- [it] Dialetto tarantino

[ru] Тарантинский язык

Тарантинский язык (итал. Tarantino, тарант. Tarandíne) — диалект неаполитанского языка, на котором говорят в Апулии — юго-восточном регионе Италии. Большинство носителей языка проживают в апулийском городе Таранто. Также на тарантинском говорят некоторые итальянские иммигранты в США, в частности в Калифорнии.



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